Mi mescolo tra la gente provando allo stesso tempo piacere e paura. Penso al quadro di Pellizza da Volpedo in cui viene rappresentato il Quarto Stato: un gruppo di uomini e donne avanzano verso di noi compatti, possiamo immaginare che stiano discutendo delle condizioni del lavoro, e in generale, di quelle della vita quotidiana. Siamo agli inizi del ‘900 e la rappresentazione di cui scrivo non è quella dell’oligarchia, è l’esatto contrario.
Dopo l’ultimo periodo di lockdown mi sarei aspettata e avrei voluto una maggiore attenzione per le condizioni socio-economiche in cui viviamo, la possibilità di cambiare o almeno di provare a cambiare le condizioni dell’attuale Quinto Stato (oggi non rappresentato, ma che possiamo assimilare al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo). È necessario comprendere a un livello più profondo che il potere nelle mani di pochi aumenta le disuguaglianze. Le connessioni tra economia e società, tra società e politica, finiscono per creare una comunità ristretta, esclusiva, che esercita un’influenza e un’autorità che si estendono al di là di quelle formalmente previste dalle istituzioni. A tale élite continua a essere delegata una parte troppo consistente della gestione dei diritti e dei doveri di tutti.
L’orizzonte che stiamo fissando, dunque, in questo periodo che segue l’emergenza, è ancora troppo limitato e vicino, privo di reali prospettive. È come se tutta la carica di energia che pensavamo di avere accumulato per il lungo periodo si sia esaurita all’interno delle solite logiche ristrette del privilegio di pochi.