Non ne parliamo mai, ma fa parte della stessa esistenza. La incontriamo, qualcuno di noi la schiva per un po’, poi diventa certezza. Provo terrore davanti a questa parola, al vuoto che porta con sé. Lo ammetto, faccio fatica a pronunciarla, la sussurro con timore, batto i piedi per allontanarla: non ottengo nessun successo. Nonostante il vuoto, il tuffo nel buio, penso che sia necessario occuparsene. Per troppo tempo è stata assente nei discorsi della nostra quotidianità, per noi che siamo abituati a ubriacarci di vita, a stordirci di lavoro e a distrarci con le nostre dipendenze.
In questi tempi di pandemia porto con me l’immagine del Campo 87 del Cimitero Maggiore di Milano. Vi sono seppellite le vittime del Covid-19 i cui corpi non sono stati reclamati. A maggio erano presenti 119 croci bianche con un nome, una data di nascita e una data di morte. È un’immagine che parla di solitudine, di soluzioni immediate in tempi di emergenza, in cui l’urgenza non è il passaggio compassionevole e umano verso un’altra dimensione, ma solamente il restare in vita.