La fame planetaria di energia è sempre maggiore e le compagnie energetiche sono a caccia di fonti che possano trasformarsi nell’oro nero del XXI secolo. Alcuni pensano di averlo trovato con lo shale gas, il gas naturale estratto da rocce scistose. Dal Nord America, all’Europa, alla Cina, al Medio Oriente: l’esplorazione è partita ovunque e negli Stati Uniti l’estrazione da anni è già una realtà.
La fame di energia a livello planetario è sempre maggiore e grandi e piccole compagnie energetiche sono a caccia di fonti che possano trasformarsi nell’oro nero del XXI secolo. Alcuni pensano di averlo trovato con lo shale gas, ovvero il gas naturale estratto da rocce scistose, cioè nate dalla trasformazione di argilla sottoposta ad alte pressioni e temperature e che si sfaldano facilmente in lastre sottili. Il gas di scisto non è molto diverso dal gas convenzionale. La principale differenza consiste nel fatto che i giacimenti convenzionali nascono dall’accumulo di combustibile fossile in un bacino impermeabile, mentre nei giacimenti scistosi il combustibile è intrappolato nella roccia spugnosa e semipermeabile. Perciò, mentre nelle trivellazioni convenzionali si punta a raggiungere l’accumulo sotterraneo, nei giacimenti scistosi è necessario liberare il gas naturale con il fracking (hydraulic fracturing), ossia la frantumazione delle rocce sotterranee attraverso la pressione di un fluido per creare e propagare una frattura in uno strato roccioso. Niente di nuovo, in verità, poiché negli Stati Uniti questa tecnica è in uso dalla fine degli anni ’40, quando la Halliburton iniziò ad applicarla nell’industria petrolifera e dagli anni ’70 si è talmente diffusa che in questo modo viene estratto circa il 90% del gas americano. Attualmente, il gas intrappolato in scisti rappresenta circa il 15% dell’offerta domestica di gas negli USA e ha contribuito a far scendere il prezzo del gas statunitense a 3-4 $/MBTU (MBTU è l’acronimo di Million British Thermal Unit, un’unità di misura energetica generalmente utilizzata nei paesi anglosassoni, pari a circa 29 mc di gas naturale). In Asia, invece, il prezzo è di circa 12-14 dollari al netto dei costi di trasporto e ciò sta facendo emergere un’interessante opportunità di export dello shale americano verso l’Asia, aprendo un nuovo orizzonte di mercato. Gli Stati Uniti contano di arrivare nel 2035 al 45% del totale della produzione di gas con quello estratto da scisti. In un articolo del 2010 il direttore della rivista dell’Mit Technology Review, David Rotman, ha spiegato: “gli esperti americani credono che il paese abbia a disposizione molto più gas naturale di quanto si sarebbe mai potuto immaginare tre o quattro anni fa. La revisione delle stime è dovuta principalmente alle nuove tecniche avanzate di perforazione che rendono economicamente valida l’estrazione del combustibile dal scisto”.
Se ampliamo lo sguardo a livello mondiale, si comprende perché le potenzialità dello shale gas stiano solleticando gli appetiti dei grandi operatori del mercato petrolifero. La U.S. Energy Information Administration nel 2011 ha pubblicato uno studio – commissionato all’Advanced Resource International – sulle risorse mondiali di shale gas per 14 regioni al di fuori degli USA (vedi grafico), i cui risultati sono ragguardevoli sebbene l’analisi non comprenda alcune aree significative come la Russia e il Medio Oriente (vedi tabella).
Tanto per rendere i numeri un po’ più chiari, secondo Il Workbook 2011 della British Petroleum le riserve mondiali provate di gas naturale convenzionale del 2010 sono pari a 6608,9 Tcf (Tcf è l’acronimo di Trillion cubic feet, pari a circa 28,3 miliardi di metri cubi), che al ritmo di produzione attuale assicurano le forniture per i prossimi 58 anni. Considerando anche lo shale, le riserve di gas raddoppierebbero, poiché l’EIA stima le riserve di shale “tecnicamente recuperabili” in 6622 Tcf. Ecco perché alcuni considerano il fracking come l’ancora di salvezza per l’indipendenza energetica statunitense e altri vorrebbero portarlo in Europa da Oltreoceano, emancipando così il Vecchio Continente dalla dipendenza russa.
Le prospettive in Europa
In effetti, lo studio dell’EIA evidenzia come il potenziale europeo di shale gas, pari a 18.000 miliardi di metri cubi, sia di fatto molto limitato rispetto a quello presente in altre regioni del mondo. Tuttavia, se pienamente sviluppate, queste risorse potrebbero consentire all’Europa (Russia esclusa) forniture di gas per 25 anni. Il livello di interesse, comunque, varia notevolmente tra i paesi potenziali produttori. La Polonia, ad esempio, potrebbe diventare l’eldorado del gas da scisto essendo il maggior detentore di riserve in Europa e il migliaio di persone occupate oggi nel settore degli scisti potrebbero salire a centomila unità. Sebbene i test esplorativi siano ancora in corso, i risultati ottenuti hanno già stimolato l’interesse di big del settore energetico come Exxon Mobil, Chevron e Marathon Oil (che hanno acquistato concessioni per l’esplorazione) e di colossi dei servizi per lo sfruttamento dei giacimenti, come Halliburton, Schlumberger e Baker Hughes (che puntano alla conquista degli appalti). Ad ogni modo la Polonia, prima di potersi affrancare dalla Russia per le forniture di gas naturale, dovrà superare diversi ostacoli, tra cui l’acquisizione di macchinari per la trivellazione e la costruzione di una rete di gasdotti. La Francia, per converso, pur possedendo il secondo più grande bacino europeo di shale gas, sconta l’opposizione locale contro lo sviluppo di questa risorsa ed è risoluta nel mantenere l’opzione nucleare. La Norvegia, invece, anche senza lo shale gas resta il paese europeo che dispone delle maggiori risorse energetiche e il maggior produttore ed esportatore di petrolio e gas in Europa dopo la Russia. Anche se il paese presenta risorse di shale gas consistenti, quindi, il loro sviluppo potrebbe essere lento, dovendo anche confrontarsi con l’assai conveniente produzione di gas convenzionale. Il quarto deposito di shale gas più grande d’Europa è localizzato in Ucraina, la cui politica energetica, però, è ancora influenzata dalla strategia energetica russa. Nel paese mancano i capitali necessari, quindi qualsiasi sviluppo dello shale gas dipenderà dagli investimenti stranieri. Ci sono diverse ragioni, tuttavia, per ritenere che l’Ucraina possa trasformarsi in un produttore di gas da scisto rilevante, a cominciare dall’analoga composizione geologica rispetto alla Polonia. Le riserve potenziali, comunque, non basteranno per attirare gli investimenti esteri perché la burocrazia ucraina non è facile da fronteggiare: mentre in Polonia per registrare una concessione ed ottenere una licenza di esplorazione servono circa 3 mesi attraverso il Ministero dell’energia, in Ucraina può volerci oltre un anno dopo un farraginoso processo che coinvolge diversi ministeri e dipartimenti. La Svezia è il minor consumatore di gas d’Europa, quindi lo sviluppo dello shale gas richiederà la creazione di un mercato locale del gas con annessi vincoli infrastrutturali. La Danimarca, la Gran Bretagna, l’Olanda e la Germania sono tutte grandi consumatrici di gas con considerevoli infrastrutture e mercati retail maturi e l’offerta domestica di gas convenzionale è in calo, pertanto presentano tutti gli elementi per poter trarre beneficio dallo shale gas ridimensionando le costose importazioni di gas.
I produttori europei di gas dispongono del grande vantaggio che i prezzi europei sono generalmente molto più alti e meno volatili di quelli degli USA, poiché i contratti per la fornitura di gas sono prevalentemente indicizzati al petrolio e di lungo termine. Negli ultimi 3 anni, i prezzi all’ingrosso europei sono stati da due a tre volte superiori a quelli statunitensi: ad esempio nel 2010 il prezzo medio USA è stato di 4,39 $/MBTU contro gli 8,01 $/MBTU in Europa. Gli esperti ritengono che, in futuro, i prezzi del gas aumenteranno mentre il costo della tecnologia associata allo sfruttamento dello shale gas tenderà a ridursi ad un livello che ne permetterà lo sviluppo economico. Ci sono, tuttavia, diversi fattori che ostacolano un rapido sfruttamento dello shale gas in Europa. Dal punto di vista operativo, ad esempio, mancano adeguati impianti di perforazione che devono quindi essere acquistati da fornitori statunitensi, rendendo il loro utilizzo più costoso di quanto non lo sia negli USA.
Anche Pechino segue la strada dell’America
In meno di un decennio lo shale ha trasformato l’America da nazione che soffriva di deficit nel gas a esportatore e Pechino, la cui domanda energetica è in costante crescita, punta a percorrere la stessa strada. L’ex Celeste Impero avrebbe 36.000 miliardi di metri cubi di riserve tecnicamente accessibili, contro 24.000 e 22.000 miliardi degli attuali leader USA e Argentina. Pechino attualmente non ha produzione commerciale di questo tipo di combustibile fossile e potrebbe ridurre le importazioni necessarie alla sua crescente domanda energetica. La Cina, infatti, è già diventata il nuovo mercato del gas, visto che le rotte delle navi-cisterna che trasportano il gas liquefatto si sono spostate dall’America all’Asia. Tuttavia secondo diversi addetti ai lavori, la rivoluzione americana difficilmente potrà ripetersi, per la rara combinazione di struttura geologica favorevole, disponibilità dei terreni e, soprattutto, di risorse idriche.
L’esplorazione al via in Medio Oriente
Il gas non convenzionale non alletta solo l’Estremo Oriente, ma anche Il Medio Oriente sebbene questo possegga, oltre ad alcuni dei più produttivi bacini petroliferi del mondo, quasi il 40% delle riserve planetarie di gas convenzionale. Più del 70% delle riserve regionali convenzionali sono collocate in Iran e Qatar, ma solo l’Iraq ha il potenziale per nuove scoperte di gas convenzionale a basso costo. Ciò nonostante diversi paesi del Medio Oriente versano in condizione di scarsità: il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti, così come l’Arabia Saudita nonostante le sue riserve significative, stanno affrontando una situazione di grave carenza di gas che li costringe ad utilizzare il petrolio per generare elettricità. L’interesse verso lo shale gas muove proprio dalla condizione di scarsità in cui la regione versa. Sarebbe meno costoso importare gas da paesi vicini come il Qatar; tuttavia, ci sono diversi motivi che ne limitano il commercio. La geopolitica indubbiamente svolge un ruolo rilevante poiché nuovi gasdotti dovrebbero attraversare più di un confine nazionale, inoltre manca un mercato regionale del gas e sussistono importanti differenze di prezzo. L’Arabia Saudita vende il gas a livello locale al prezzo sussidiato di 0,75 $/MBTU mentre ricorre all’uso del petrolio per la generazione elettrica: una follia economica, considerando che un barile di greggio a 110 dollari equivale a 20,3 $/MBTU, di gran lunga superiore ai prezzi americani dello shale gas. Nonostante i costi di sviluppo siano oltre tre volte maggiori rispetto a quelli del Nord America, lo shale gas potrebbe rappresentare per il Medio Oriente una fonte conveniente e una valida alternativa al petrolio. Esistono, pertanto, forti incentivi alla esplorazione del gas da scisto in diversi Paesi della regione. L’Arabia Saudita ha già iniziato la perforazione di pozzi di esplorazione, l’Oman è impegnato nell’analisi delle sue risorse non convenzionali di gas e presto potrebbero iniziare i test anche ad Abu Dhabi. La Giordania, che attualmente importa quasi tutto il gas che consuma, potrebbe avviare programmi per valutare il suo potenziale di shale gas. Sebbene conoscere le dimensioni delle risorse di shale gas del Medio Oriente sia prematuro (stime approssimative sono state fornite dal World Energy Council nel 2010), ci sono molte ragioni per ritenere che possa contribuire considerevolmente alla futura domanda di energia in questa regione in forte crescita.
Il gas da scisto, dunque, potrebbe avviare una rivoluzione energetica globale; tuttavia, questa risorsa presenta aspetti ambigui dovuti al suo impatto ambientale e ad una convenienza economica che in molti siti è ancora dubbia. In altri termini, non è affatto oro (azzurro) tutto quello che è luce: nel prossimo articolo cercherò di illustrare il perché….