di Lapo Berti –
Tentare di misurare la qualità della vita è diventata da tempo una sfida che attira un numero crescente di studiosi e, in particolare, di economisti. Tentare di misurare la qualità della vita in relazione all’ambiente urbano è una sfida ancora più attraente. Una ricerca sulle città italiane.
Si può misurare la qualità della vita nelle città e si possono fare confronti fra città diverse? La risposta è sì e, per quanto riguarda le città italiane, ci hanno provato tre studiosi milanesi dell’Università Bicocca*. Naturalmente, bisogna essere disposti ad accettare qualche semplificazione e anche una buona dose di approssimazione per quanto scientificamente costruita. Ma i risultati sono interessanti.
Gli autori sono perfettamente consapevoli del fatto che “non esiste una definizione comunemente accettata di qualità della vita” e che si ha qui a che fare con un “concetto multidimensionale che presenta particolari difficoltà di misurazione”. Dedicano, quindi, il primo capitolo del libro a illustrare brevemente gli approcci più comunemente usati per misurare la qualità della vita, mettendone in evidenza i limiti, per poi descrivere le caratteristiche di un metodo alternativo, il “metodo edonico“, che è quello che essi utilizzano. E’ la prima volta che esso viene applicato al caso italiano.
Il metodo edonico si distingue dagli altri metodi di valutazione che si basano sulla percezione soggettiva che gli individui hanno della qualità delle loro vite in riferimento a un determinato territorio per il fatto che non chiede direttamente agli interessati una valutazione del loro stato di benessere in un determinato luogo, ma lo inferisce dai prezzi delle abitazioni e dai livelli retributivi che si riscontrano in quel luogo in riferimento ad alcuni elementi caratteristici del territorio, di natura ambientale, demografica e socio-economica che hanno un impatto positivo, o negativo, sulla qualità della vita. Secondo gli autori, il vantaggio del metodo edonico starebbe nel fatto che riesce a combinare tutte le dimensioni che contribuiscono a determinare la qualità della vita attraverso dei pesi che rispecchiano le preferenze degli individui. Insomma, “l’idea di fondo del metodo edonico è che sia possibile misurare in termini monetari il valore che le persone attribuiscono alle caratteristiche che determinano la qualità della vita in una città”. Ovviamente, la bontà di questo metodo dipende in misura cruciale dall’ipotesi che i prezzi riflettano esattamente e, soprattutto, in maniera completa le preferenze degli individui e non subiscano perturbazioni da altri fattori. Un’ipotesi su cui si potrebbe disquisire a lungo.
A parte questi dubbi sulla validità del metodo, che non si possono qui discutere, vediamo i risultati cui i nostri autori pervengono, tenuto conto che sono state considerate 15 variabili, raggruppate in cinque categorie: clima, ambiente, servizi, società ed economia.
Se volessimo indicare, in estrema sintesi, il messaggio centrale che emerge dai dati raccolti è che la qualità della vita nel nostro paese è soprattutto questione dell’Italia di mezzo. In un duplice senso. Da un lato, perché la qualità della vita viene identificata con quelle regioni dell’Italia centrale che da sempre propongono un modello di vita urbana che soddisfa chi vi abita ed esercita una forte attrazione su chi ne è all’esterno. E, dall’altro lato, perché è nelle città di medie dimensioni che sembra nascondersi il segreto di una vita di qualità. In esse, infatti, un ambiente gradevole si coniuga spesso con condizioni economiche elevate e con un buon livello dell’offerta di servizi che ne rendono elevata la vivibilità. Certo, le grandi città sopra i 500.000 abitanti offrono una più ampia gamma di opportunità, ma a un costo, in termini di qualità della vita, che per molti può risultare eccessivo. Insomma, il gioco non vale la candela.
Se le condizioni che assicurano una vita di qualità sono più diffuse nell’Italia centrale, occorre tuttavia dire che, in generale, anche le città dell’Italia settentrionale offrono buone opportunità. Pisa, Trieste, Bologna sono esempi di città in cui la gente vorrebbe vivere. Per trasferirsi in città con caratteristiche economiche, sociali e di servizi come quelle di questi tre capoluoghi, gli italiani sarebbero disposti a pagare anche fino a un quarto del proprio reddito annuo. Naturalmente – chiariscono Michelangeli, Colombo e Stanca – non vogliamo stabilire dove si viva meglio ma, basandoci sui prezzi di mercato degli immobili a uso abitativo, rivelare le valutazioni implicite degli individui rispetto alle caratteristiche delle città.
Le città del mezzogiorno, seppure con importanti eccezioni, si collocano generalmente nella fascia bassa delle percezioni della qualità della vita complessivamente intesa, perché le loro favorevoli condizioni ambientali non riescono a riequilibrare gli svantaggi che le persone percepiscono sul piano economico e su quello della dotazione di servizi e d’infrastrutture. Nella classifica stilata dagli autori, la prima città del Sud è Salerno al trentatreesimo posto.
I tre autori hanno anche provato a combinare i dati della loro ricerca con quelli dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia (anni 2004, 2006, 2008), che rileva la percezione soggettiva della felicità su di una scala da 1 a 10. Ricavandone un indice sintetico della felicità che si ricava dalla qualità della vita. In questo caso, i dati disegnano un quadro con aree più omogenee e nettamente distinte. Il livello più elevato di felicità legata alla qualità della vita lo si riscontra al nord e quello più basso al sud, mentre il centro, manco a dirlo, occupa una posizione mediana. Le città in cui si vive meglio sono Venezia, Reggio Emilia e Treviso. In fondo alla classifica troviamo Caltanissetta, Cosenza e Catania. Appena sopra ci sono molte altre città del Meridione.
I dati elaborati nel corso della ricerca consentono inoltre un interessante esercizio: l’identificazione della città media o virtuale. E’ una città che ha una temperatura media annuale di 15 gradi, un tasso del 78% di umidità e 68 mm. di precipitazioni annue. Ha il 7% di territorio ricoperto da aree verdi e non è vicina al mare. Il numero di crimini violenti per 1000 abitanti è , il tasso di partecipazione al voto è di 75,4, la percentuale di iscritti all’università è il 5,4, la percentuale di stranieri è 6,3. Il valore aggiunto pro capite è di 17.600 euro e il tasso di disoccupazione è pari all’11,1%.
Un’altra prospettiva interessante che il volume offre è quella legata al confronto con la qualità della vita rilevata nelle città di altri paesi. Certo, i dati non sono omogenei e le metodologie sono diverse, ma qualche spunto di riflessione emerge ugualmente. Se guardiamo alle città europee sulla scorta della classifica elaborata dalla società Mercer per il 2010 e del Perception Survey of Quality of Life condotto dalla Gallup per conto della Commissione europea nel 2009, quello che emerge con forza è un modello “nordico”, in cui la fanno da padrone le città della Germania, ma primeggiano anche le città scandinave, grazie soprattutto all’elevata qualità dei servizi, dell’ambiente e della sicurezza. Le città italiane non fanno una bella figura, almeno quelle prese in considerazione. Pur con qualche riserva, dovuta alle caratteristiche delle metodologie d’indagine adottate, occorre prendere atto che la vivibilità delle città italiane è mediamente inferiore ai migliori standard europei e spesso notevolmente inferiore. Tutto questo ci fa pensare che un modello economico orientato al miglioramento della qualità della vita nei centri urbani potrebbe fare da volano a una ripresa economica del nostro paese e, magari, contribuire a rilanciare un atteggiamento più positivo nei confronti del futuro e delle possibilità di cambiare. Ma forse è un’utopia…
(*) Emilio Colombo, Alessandra Michelangeli e Luca Stanca, Le città italiane in cerca di qualità. Dove e perché si vive meglio, Egea, Milano, 2012.