di Rossella Rossini –
In Italia tra gli under 25 la disoccupazione nel mese di marzo ha raggiunto il picco record del 35,9%. Su base annua, nel 2011 la quota di giovani 18-29enni in cerca di occupazione si è attestata al 20,2%, dopo quattro anni di crescita costante. Ma sul totale dei giovani attivi oltre il 30% risulta disoccupato. E’ dunque difficile uscire dalla condizione di Neet (not in employment, education or training), dove sono sospesi più di 2 milioni di giovani che non lavorano, non studiano e non seguono percorsi formativi. Intanto, tra i giovani che hanno un lavoro, 1 su 3 ha un lavoro precario. Sono i dati dell’Istituto centrale di statistica, che ammette come sia andata scemando la possibilità di transitare verso una maggiore stabilità
Non è facile smettere di essere Neet in un paese in cui sono gli ultimi arrivati a pagare più degli altri il prezzo della crisi, con un tasso di disoccupazione che tra gli under 25, secondo le rilevazioni dell’Istat, ha raggiunto nel mese di marzo la quota record del 35,9%. Il dato più alto dal 2004, che fa peggiorare in maniera allarmante il quadro già fosco riferito al quarto trimestre del 2011: 32,6%, il massimo dal ’92 su base trimestrale, con picchi oltre il 40% in alcune regioni del Sud (Basilicata, Campania, Sicilia) e del 49,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Un dato tra i peggiori d’Europa, dopo Grecia (oggi al 51,2%), Spagna (51,1%), Slovacchia e Portogallo. Sono dunque i giovanissimi a ingrossare le fila degli oltre 500 mila occupati in meno nella fascia di popolazione tra 15 e 29 anni, già rilevati dall’Istituto centrale di statistica nel difficile biennio 2009-2010. Nel 2011, secondo il Rapporto Annuale dell’Istituto centrale di statistica presentato il 22 maggio, sono saliti a 808mila tra i 18-29enni. Lo stesso Rapporto fissa al 20,2%, per il 2011, il tasso dei 18-29enni in cerca di occupazione, con un divario crescente rispetto al dato della disoccupazione totale, pari all’8,4%. Ma considerando il totale dei giovani attivi (occupati e in cerca di occupazione) “oltre il 30% risulta disoccupato”. Ciò perché – spiega l’Istituto – “la disoccupazione giovanile si alterna spesso con l’occupazione a termine: se nel passato la prima corrispondeva principalmente all’attesa del lavoro stabile, oggi essa è prevalentemente determinata dall’instabilità del lavoro per i giovani, cioè all’alternarsi di brevi fasi lavorative e periodi di disoccupazione”. Ancora peggiore il dato diffuso dalla Cgia di Mestre, che stima al 38,7% la disoccupazione giovanile reale, comprendendo gli inattivi che non cercano lavoro, sfiduciati dalla crisi. Del resto, lo stesso Rapporto Istat segnala che in Italia sono più di 1 milione e 800mila gli “scoraggiati”, ossia coloro che pur non avendo un lavoro non lo cercano perché pensano di non trovarlo. Una sfiducia giustificata, con la disoccupazione di lunga durata che in Italia oggi riguarda quasi la metà dei disoccupati totali e il forte mismatch tra domanda e offerta di lavoro che, stando alle rilevazioni del sistema Excelsior, ha fatto salire a oltre 45.000 i posti per giovani che le imprese, nel 2011, non sono riuscite a trovare.
Intanto, tra chi trova un’occupazione, è in costante crescita la percentuale dei giovani precari. “Dal 1993 al 2011 gli occupati dipendenti a termine – sottolinea l’Istat nel Rapporto Annuale 2012 – sono cresciuti del 48,4% (+751 mila unità) a fronte del +13,8% registrato per l’occupazione dipendente complessiva. Nel 2011 l’incidenza del lavoro temporaneo sul complesso del lavoro subordinato è pari al 13,4%, il valore più elevato dal ’93; ma supera il 35% (quasi il doppio del ’93) tra i 18-29enni. Inoltre diventa più difficile transitare dalla precarietà all’occupazione permanente; si allungano i periodi di permanenza nel lavoro temporaneo; aumentano i contratti di breve durata e a orario ridotto. In particolare, “tra il 1993 e il 2000 rimane sostanzialmente stabile intorno al 40% il tasso di permanenza, a distanza di un anno, dei 18-29enni nel lavoro dipendente a termine. Dopo il 2000 il tasso di permanenza cresce fino al 50% del 2005-2006 e si porta al 56,3% nel 2010-2011”. Nello stesso periodo 2010-2011 i contratti a tempo determinato e di collaborazione (coordinata e continuativa, a progetto o occasionale) sono aumentati del 5,3% (+136mila unità); i contratti part-time del 2,3% (+63mila: “aumento dovuto esclusivamente a lavoratori che hanno accettato un lavoro a orario ridotto non riuscendo a trovarne uno a tempo pieno”); i contratti di breve durata fino a sei mesi sono cresciuti dell’8,8% (+83mila unità), mentre sono diminuiti i contratti a termine con durata superiore all’anno (-32mila unità).
Non mancano, nel Rapporto, dati sul trend crescente delle occupazioni atipiche disaggregati per generazioni. E’ entrato nel mondo del lavoro da atipico il 31,1% dei nati negli anni ’70, ma il 44,6% dei nati dagli anni ’80 in poi. Non sempre questa porta d’ingresso apre la strada verso un’occupazione stabile e la classe sociale di provenienza gioca un ruolo pesante: “Il passaggio a lavori standard è più facile per gli appartenenti alla classe sociale più alta, mentre chi ha iniziato come operaio in un lavoro atipico, dopo dieci anni nel 29,7% dei casi è ancora precario e nell’11,6% ha perso il lavoro”.
Già l’Isfol aveva segnalato che “il numero sempre maggiore di occupazioni atipiche è decisamente sbilanciato per età e coinvolge maggiormente i giovani”. Dai dati contenuti nel rapporto “Isfol Plus 2010”, riferiti ai lavoratori occupati nella fascia 18-29 anni, emerge che il 53,9% è a tempo indeterminato, l’8,4% sono autonomi, l’8% ha un contratto di apprendistato e poco meno del 30% rientra nell’atipico: tempi determinati (10,6%), altri contratti a termine (4,6%, tra formazione-lavoro, inserimento, lavoro in somministrazione, job sharing, lavoro intermittente o a chiamata), collaboratori (8%, tra collaborazioni coordinate e continuative, occasionali, a progetto) e altri rapporti di lavoro (6,5%, tra stagisti, tirocinanti, praticanti, o mancate risposte). Estrapolando dagli autonomi le Partite Iva “sospette” e comprendendo gli apprendisti, ci sia avvia verso le più recenti cifre dell’Istat sul lavoro giovanile precario. L’Isfol stima inoltre al 20% la quota di lavoratori atipici che nel 2010 è finito nell’area dei senza lavoro. Anche qui la crisi ha colpito duro, provocando l’uscita dal mondo del lavoro di quasi mezzo milione di precari.