Un piccolo racconto di ordinaria quotidianità italiana, nella quale temo molti si potranno ritrovare e che ci consente, senza fare ricorso a troppe teorie e analisi sociologiche, ma guardando semplicemente ai fatti, di capire cosa siamo diventati noi Italiani oggi e le conseguenze su ciascuno di noi di questo degrado sociale e morale.
Forse mi è capitato di concentrare l’attenzione, ancora più del solito sull’umanità che mi circonda, a causa degli eventi particolari che nella mia vita si sono succeduti nelle ultime due settimane, o forse è solo il caso, che mi ha offerto l’opportunità di assistere ad una successione, solo apparentemente surreale, di fatti con cui poter toccare con mano cosa siamo diventati noi Italiani. Cosa è diventata drammaticamente l’Italia di oggi, in cui l’invettiva, il dileggio, la volgarità gratuita, l’incapacità di dialogare, la superficialità, il pressapochismo, l’indifferenza, la mancanza di rispetto, di senso del dovere e del proprio ruolo professionale e civile sono riassumibili in un’unica parola: menefreghismo, che è figlio di un altro sentimento “virtuoso”, l’egoismo individualista. E diciamo pure qualcosa in più, non solo siamo menefreghisti, ma lo siamo anche “orgogliosamente”.
Ce ne vantiamo, come quelli che riempiono Facebook e il web di insulti e volgarità, assolutamente gratuiti, offendendo e minacciando anche sul piano personale chiunque dissenta dal loro pensiero, non sapendo argomentare le loro ragioni se non vomitando un campionario, tra l’altro anche piuttosto ripetitivo, povero e insulso, di facili oscenità con un livore personale, che non trova giustificazione, se non nella infinita miseria intellettuale e umana che li caratterizza. Inutile perdere tempo a controbattere, si fornirebbe solo un’ulteriore occasione per consentire a questi soggetti, che ormai poco hanno a che fare con il genere umano, inteso come homo sapiens, di rincarare la dose, della qual cosa si sentiranno sempre più fieri. Costoro non riescono a concepire che chi non vi fa ricorso non è affatto privo degli strumenti per farlo, o della conoscenza sufficiente di tale specifica parte del vocabolario, di cui si avvalgono. Anzi, se le persone che usano prevalentemente un vocabolario non volgare volessero fare ricorso a tali termini, vi assicuro che sarebbero in grado di offrire l’esposizione di tali oscenità in una forma ben più ricca, fantasiosa ed interessante di quella alla quale si assiste. Chi non ne fa uso ha semplicemente deciso che la propria cifra nella vita deve essere un’altra.
Offendere e sparare invettive a raffica non necessita di alcun particolare quoziente intellettivo, essendo l’espressione dei più bassi istinti dell’uomo, dai quali questi ha impiegato secoli per affrancarsi. Oggi siamo in una fase involutiva. Essere qualunquisti, dire un cumulo di scempiaggini, non capire nulla ma presumere di sapere tutto, sparando sentenze e giudizi sommari, privi di qualsiasi ragionamento è accessibile a tutti senza richiedere alcuno sforzo. E’ facile, a portata di tutti, e più si abbassa il livello culturale, del linguaggio e della comunicazione collettiva, più tutti vi possono partecipare senza sentirsene esclusi. E’ un fenomeno inclusivo, che, però, favorisce una corsa al ribasso, all’impoverimento, all’involuzione sociale e culturale, che è stata sistematicamente preparata e costruita attraverso un’omologazione basata su modelli culturali negativi e sulla progressiva delegittimazione di quelle istituzioni sia politiche, sociali e culturali, in primis la scuola, che avrebbero dovuto forgiare le nuove generazioni e favorire la crescita e lo sviluppo di uomini e donne migliori, cittadini consapevoli, responsabili e più evoluti anche culturalmente. Ciò a cui assistiamo oggi è il prodotto di un’operazione demolitoria lenta e progressiva che si è perpetrata in oltre due decenni e che sembra difficile poter arrestare e invertire senza un intervento ricostruttivo dall’alto. L’attuale situazione politica non offre alcuna prospettiva in tal senso.
A prescindere da quelle che possono essere le personali considerazioni politiche, l’aggressività della comunicazione, la mancanza di serietà e senso di responsabilità, l’approssimazione, l’improvvisazione, l’ignoranza che contraddistingue la classe dirigente a vari livelli, ma anche a livelli più bassi ormai, sono talmente pervasive, che quelle poche sacche di resistenza, rappresentate da cittadini che vorrebbero vivere in un paese “civile”, diverso da quello attuale, faticano a svolgere la propria attività e a vivere in questa società. Però, le cosiddette minoranze dispongono di strumenti niente affatto trascurabili. Ragione, intelligenza, cultura sono stati sempre nella storia strumenti di opposizione e di ricostruzione. Si tratta di un processo lungo, dove ognuno è chiamato a fare la sua parte. Non è più tempo di assistere e guardare alla finestra ciò che accade intorno. Ricostruire è un’operazione lenta e complessa, ancora più difficile che demolire, ma non vi è un’altra strada da percorrere, se si vuole coltivare una speranza. Ripartire e “non mollare”, soprattutto per far intendere a chi attacca e offende che non apparteniamo a due schieramenti opposti, ma che siamo sulla stessa barca con l’unica, non irrilevante differenza, come diceva Calamandrei, che noi vediamo che la barca sta affondano e vogliamo fare qualcosa, gli altri se ne fregano, pensando che sulla barca ci siamo solo noi e loro, non si sa come, si salveranno. Quando la barca affonderà, tutti periremo, se noi lo vediamo e gli altri non ci riescono, tocca a noi fare qualcosa.
E’, dunque, questo un invito e un richiamo all’impegno, a ricostruire una coesione, un’alleanza sociale, che è l’unica possibilità di salvezza comune che ci è rimasta. (continua)