di Elisabetta Iossa –
Sulla qualità delle vita degli italiani ha un ruolo importante la (scarsa) efficienza dei trasporti pubblici locali. Generalmente scadenti e fortemente dipendenti dai contributi pubblici. Manca lo stimolo della concorrenza. Ma come incentivare gli operatori? Vediamo un esempio virtuoso: gli autobus di Londra. Un buon servizio di trasporto locale aumenta la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Un buon servizio dà fiducia
L’Autorità di regolazione dei trasporti ha pubblicato a luglio un documento di consultazione sul trasporto pubblico locale, ponendo una serie di domande su come assegnare in esclusiva i trasporti pubblici locali. Sembra soffiare un vento di cambiamento. Nel suo rapporto annuale del 2013, l’Istat ha riscontrato l’esistenza di un legame tra la vivibilità del territorio e la fiducia che i cittadini esprimono nei confronti delle principali istituzioni a livello locale e nazionale. I dati mostrano livelli di fiducia bassi: un voto da otto a dieci viene attribuito ai vigili del fuoco dal 66,2 per cento della popolazione di 14 anni e più, alle forze dell’ordine dal 34 per cento e ai partiti politici (che hanno come voto medio 2,3) solo dall’1,5 per cento. Sul giudizio incide anche la qualità dei servizi di trasporto pubblico. Un trasporto urbano (autobus, filobus e tram) di scarsa qualità complessiva (punteggio da 0 a 5), rispetto a uno di elevata qualità (8-10), rende del 75 per cento relativamente più probabili punteggi bassi di fiducia; anche passare da un buon servizio (8-10) a uno di qualità appena più modesta (6-7) accresce la probabilità del 27 per cento.
Ai trasporti pubblici locali di bassa qualità si accompagna un’elevata dipendenza dalla contribuzione pubblica. Nel suo primo rapporto annuale, l’Autorità di regolazione dei trasporti ha riportato che in media le entrate tariffarie coprono solo il 32 per cento dei costi operativi (38 per cento, se si tiene conto sia dei ricavi tariffari sia degli altri ricavi non da trasporto), contro il 46 per cento in Francia, il 58 per cento in Spagna, il 64 per cento nel Regno Unito e l’83 per cento in Germania. La contribuzione pubblica in Italia raggiunge i 2,4 euro in conto esercizio per ogni chilometro di servizio, contro i 2,2 €/km della Francia, 1,7€/km della Spagna e solo lo 0,9€/km della Germania e 0,8€/km del Regno Unito.
Fonte: Autorità dei trasporti, Relazione annuale 2014
Per quanto attiene al mercato del trasporto pubblico locale su gomma, in Italia è stato immesso il minor numero di autobus nuovi (solo 335 autobus immatricolati/popolazione) rispetto ai principali Paesi europei (525 in Francia, 374 in Germania, 356 in UK e 370 in Spagna). L’età media del parco autobus italiano adibito ai servizi di trasporto pubblico locale è di 11,57 anni, contro una media europea di 7 anni (Francia, con 7,5 anni; Svezia, 6,2 anni; Spagna, 6,1 anni e Germania, 5,4 anni). Questo non solo incide negativamente sulla qualità del servizio e sull’ambiente, ma influisce anche sui costi di manutenzione: i costi di un autobus nuovo sono sei volte inferiori a quelli di un autobus di 15 anni.
La concorrenza che manca
Qualche miglioramento probabilmente si osserverà nei prossimi anni, a seguito del decreto legge n. 95/2012 (articolo 6 bis), che ha introdotto il vincolo di destinazione delle risorse statali al settore del trasporto (spesso, le risorse venivano dirottate dalle Regioni per coprire altre esigenze di bilancio, ritenute più pressanti), e grazie a un criterio premiale nell’assegnazione del 10 per cento dei fondi, basato su parametri di efficienza ed efficacia. Ma quello che manca ancora è un’apertura reale alla concorrenza, che non vuol dire scegliere necessariamente un operatore privato, ma introdurre strumenti oggettivi e trasparenti per selezionare quella società, pubblica o privata, maggiormente in grado di stimolare il perseguimento della riduzione dei costi operativi e l’offerta di un servizio di qualità. Solo meno della metà dei capoluoghi di provincia (53 su 110) hanno indetto una gara per l’affidamento dei servizi di trasporti pubblici locali negli ultimi dieci anni. Aprire al mercato tuttavia non basta: bisogna porsi l’obiettivo prioritario di incentivare gli operatori a ridurre i costi e migliorare visibilmente la qualità del servizio, altrimenti la necessità di contenere il contributo pubblico e i costi di transazione delle gare porteranno a un aumento delle tariffe e della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Ma come s’incentivano gli operatori? Ci sono molte considerazioni da fare e pochi sani principi da applicare.
Innanzitutto è necessario:
(i) valutare se trasferire il rischio di domanda all’operatore o se invece prevedere un corrispettivo da pagare solo se il chilometraggio concordato è effettivamente eseguito. Per ogni chilometro mancante bisogna prevedere un’adeguata decurtazione del corrispettivo, a meno di cause non imputabili a fattori esterni.
(ii) predisporre un contratto di concessione standard, posto a base di gara, che preveda premi e decurtazioni di prezzo basati sulla qualità del servizio (per esempio, tempi di attesa, stato manutentivo degli autobus);
(iii) disegnare le gare, prevedendo un numero di lotti che combini l’esigenza di non sfavorire i piccoli operatori, con lotti troppo grandi, e perdere le economie di scala con lotti troppo piccoli, e criteri di aggiudicazione sia economici che basati sulle condizioni di servizio offerte; criteri semplici e trasparenti, con contratti di durata inferiore a cinque anni, e con possibilità di brevi rinnovi basati sulla performance passata;
(iv) Monitorare la performance regolarmente, applicando i premi e le decurtazioni previste.
(v) Pubblicare online i bandi di gara, le aggiudicazioni, e la performance degli operatori, di modo da essere accessibili immediatamente ai cittadini.
L’esempio di Londra
Il caso londinese è stato indicato anche dall’Ocse come best practice di concorrenza per mercato per il trasporto pubblico su gomma. Prima della riforma del 1984 (London Regional Transport Act ), i servizi di trasporto locale a Londra erano forniti da una società pubblica, che nel 1985 fu divisa in tredici sussidiare, una per area geografica, poi privatizzate. La prima gara si è svolta nel 1985 e fino al 1994 la competizione per il mercato ha visto coinvolte le tredici società e un gruppo emergente di operatori privati. Col tempo, un numero sempre superiore di rotte sono state messe a gara e dal 2001 il servizio di trasporto locale londinese è affidato solo tramite gara.
I contratti attualmente utilizzati sono i Quality Incentive Contracts: contratti quinquennali che prevedono che il rischio di domanda venga trattenuto dal partner pubblico, ma con incentivi legati alla qualità del servizio. C’è uno standard minimo di performance (MPS), legato ad esempio ai tempi di attesa. Bonus o detrazioni di prezzo vengono applicati quando il servizio supera o non raggiunge la qualità fissata dagli standard, come ad esempio:
– bonus pari a 1,5 per cento del corrispettivo per ogni scostamento positivo di 0.10 minuti rispetto a MPS. Il bonus raggiunge un massimale al 15 per cento del corrispettivo
– penale pari a 1 per cento del corrispettivo per ogni scostamento negativo di 0.10 minuti rispetto a MPS. La penale raggiunge un massimale al 10 per cento del corrispettivo
– rinnovo automatico di due anni in presenza di un costante superamento delle soglie di performance contrattuale
C’è anche una misura di performance legata alle condizioni degli autobus: per stabilire bonus e penali si fa affidamento su ispezioni alle stazioni di stazionamento e valutazioni dei mistery shoppers. Ogni anno viene messo a gara il 15-20 per cento delle rotte, con gare ogni due-quattro settimane. Le imprese fanno offerte economiche specificando il corrispettivo che richiedono per fornire il servizio (che deve coprire i costi oltre che garantire un margine di profitto) e le condizioni del servizio. Il corrispettivo viene poi pagato in funzione del chilometraggio effettuato e della qualità del servizio. Il concedente (Transport for London) specifica rotta, stazionamento, orario del servizio e frequenza, e, cosa importantissima, pubblica regolarmente i risultati delle gare e la performance degli operatori online. Nel complesso, il caso londinese viene considerato un successo, avendo portato a riduzione dei costi, aumento della soddisfazione degli utenti e della qualità del servizio. Roma può seguire Londra? Sicuramente ci sono buone pratiche anche in Italia, che vanno identificate e valorizzate. Per il resto, che soffi forte il vento del cambiamento.
Tratto da lavoce.info