Com’è difficile fare comunità
di Nicola Tranfaglia –
Viviamo sempre di più in una società impersonale, come la definì l’anno scorso Giuseppe De Rita, concludendo una serie di dibattiti che si svolsero a Roma nel giugno 2013.
Quelle discussioni affrontarono il problema di grande attualità di un Paese come il nostro che appare, da una parte, con tutte le sue criticità tradizionali come la illegalità e la corruzione, la criminalità organizzata, l’inefficienza delle istituzioni, la crisi fiscale, la bassa produttività, la disoccupazione e, dall’altra , con una classe dirigente che non sembra in grado di esprimere le qualità necessarie per prendere in mano il paese e orientarlo verso un nuovo grado di sviluppo. Un Paese -hanno scritto alcuni osservatori non italiani, affetto dalla sindrome del declino.
Ed è proprio questa condizione che ha fatto parlare gli scienziati sociali (e qualche isolato storico, essendo questa corporazione poco presente, per quando mi risulta, dai dibattiti che agitano l’età contemporanea.
“La società impersonale-scrisse lo stesso De Rita in un opuscolo della sua creatura, il Censis)- non ha coscienza di sé e di quello che avviene intorno ma vive tutto come fosse un paesaggi, bello o brutto che sia, che non chiede azione o partecipazione.” La società italiana, diagnostica va il celebre studioso, “propende verso il voyeurismo, non all’impegno ed è destinata al populismo del guardare. E’ difficile individuare, nell’Italia di oggi, la traccia della nuova domanda e dell’offerta politica. Consideriamo che tutto sia nostro -il corpo è mio, la vita è mia, la morte è mia e voglio stabilire come avverrà-tranne il paesaggio sociale e politico che non ci interessa. Così non votiamo né andiamo ai comizi.
Oggi più che la fede religiosa o il partito politico di appartenenza sembrano contare al primo posto lo stile di vita, la condizione di ceto medio che si è imborghesito comprando la macchina, la casa, poi, in alcuni casi, la seconda casa o il gioiello per l’altro coniuge.
C’è un’altra osservazione del sociologo De Rita che vale la pena tenere in conto e riguarda il fatto che la società impersonale o anche “domesticata” come quella italiana tende a comporre con difficoltà una effettiva comunità e tende piuttosto a realizzarsi con processi violenti o rivolti verso la propria famiglia (ed è significativo l’aumento di delitti coniugali o familiari che si è realizzato, negli ultimi mesi, nella penisola) in quanto così una simile società non crea eguaglianza sociale, perde la sua natura di società e diventa una società di mercato, non più una società di persone. Le persone stanno insieme nell’ipotesi di arrivare a un livello soddisfacente di eguaglianza ma ormai, qui in Italia, stiamo passando a una società che ha come simbolo l’invidia e il livellamento, non più il progresso e lo sviluppo.
Il problema che emerge da quel giugno di discussioni tra studiosi del Censis è proprio quello che non riusciamo più a trovare i meccanismi che rendono i singoli elementi della società capaci di interagire da loro. E’ questo forse, tra i tanti, uno dei problemi maggiori che oggi abbiamo di fronte.
Tratto da Antimafia