Intervista al sindaco di Treviso
a cura di Paolo Deganello e Paolo Bornello –
“Treviso bene comune“ era il nome della coalizione che ha portato l’avvocato Giovanni Manildo a essere eletto sindaco di Treviso il 10 giugno 2013 dopo 20 anni di una giunta di centro destra. Riportiamo le parti piu significative di una intervista fatta da Paolo Deganello e Paolo Bornello il 28/02/2014.
Manildo – Abbiamo assistito per anni alla considerazione del territorio come una possibilità di monetizzazione al fine di ottenere un mero vantaggio e un lucro diverso da quello dell’interesse pubblico. Tornare indietro rispetto al concessionato, ritornare a un consumo del territorio zero, costruire sul giá costruito, è un compito che le amministrazioni contemporanee si devono porre. Noi lo stiamo ponendo con grande forza e l’occasione per cercare di dare le nostre linee guida su come comportarci c’è stata data dal PAT (Piano di Assetto del Territorio). Siamo arrivati nel momento in cui il PAT era già stato adottato dalla precedente amministrazione e abbiamo riaperto i termini per consentire una maggiore partecipazione… e in questo abbiamo indicato come togliere 1 milione di metri cubi di potenziale volume edificatorio non ancora concessionato, rispetto ai 2,9 miloni che questo PAT potenzialmente autorizzava. Ciò che si può fare dal punto di vista giuridico dipende dal caso in esame: rispetto alla cubatura strategica o alla cubatura non ancora autorizzata dal vigente PRG, le mani sono più libere, il problema è rispetto alla cubatura autorizzata, dove ci sono state delle convenzioni con i privati. Qui il problema è riuscire a cercare di arrivare all’assunzione migliore possibile e si apre il campo della contrattazione con i privati che in questo momento di crisi si sono resi conto che la troppa facilità nel concedere cubatura ha in qualche modo danneggiato anche gli imprenditori del settore dell’edilizia. Stiamo studiando il sistema dei crediti edilizi, cioè togliere cubatura e spostarla da un’altra parte e, in modo molto chiaro, abbiamo indicato qual’è la nostra direzione. …A livello comunale siamo nel momento in cui stiamo ribadendo questi concetti e il primo atto, appena approvato il PAT, sarà la variante al PRG che va proprio nell’ottica di togliere alcune possibilità di edificazione, complice il momento di crisi economica per cui alcune cose è più facile farle. Certo è un inizio, si parte dalle cose che si possono fare quindi dalle potenzialità non concesse e poi si potrà arrivare ai piani convenzionati e su questo ovviamente bisognerà trattare con i singoli soggetti destinatari.
Deganello – Un ridimensionamento quantitativo della cubatura gia prevista dal centro destra non è ancora un idea di città
Manildo: La mia visione di città è di un luogo dove è naturale la complessità e la differenza… La “Mixitè” è un termine che abbiamo reintrodotto nel nostro atto di indirizzo. Penso che la complessità sia l’unica strada che renda i centri e le città accattivanti e che dia il senso vero del termine città. Anche dal punto di vista economico, l’Europa sta investendo sulla città, ci sono molti miliardi di euro a favore delle città che producono dei progetti. Dobbiamo tornare a questo concetto un po’ dimenticato che è il termine “Pianificazione”: penso che anche molti urbanisti credevano ben poco al termine pianificazione…. Credo molto alla pianificazione e alla visione del progetto politico, non si va da nessuna parte se non c’è un progetto politico e una visione di città.
Deganello – E’ vero che questo termine pianificazione è diventato ormai sinonimo di distruzione di territorio e di alibi speculativo ed è altrettanto vero che la disciplina urbanistica non ha trovato uno strumento amministrativo sostitutivo della vecchia pianificazione. Si fanno i piani strutturali, si danno delle direttive di piano che intenzionalmente riequilibrino e ridistribuiscano l’edificazione già fatta nel territorio e lo strumento inventato è la “perequazione” prevista anche quale strumento fondamentale per realizzare nuovi piani di edificazione… e la perequazione non si sa come concretamente realizzarla…
Manildo: Noi attueremo la “Treviso Smart Community”. Essa rappresenta la consapevolezza che i Comuni devono diventare non gestori esclusivi, ma registi di un percorso in cui tutti i portatori di interessi vanno nella stessa direzione per realizzare una visione di città. Stiamo cercando di fare questo unendo nell’associazione “Treviso Smart Community” dei soci fondatori quali Università, Legambiente, la Camera, la Curia, dei soci istituzionali quali associazioni di categoria, sindacati, portatori d’interesse diffuso e una terza categoria di soci privati che hanno all’interno del loro statuto lo scopo di lucro, ma che magari si occupano di telecomunicazioni, di fotovoltaico, di mobilità sostenibile. Il Comune si lega a questa associazione con un accordo di programma, dove ci sono delle cose che rientrano nella nostra stretta competenza e delle cose che invece richiedono che tutta la comunità vada nella stessa direzione. Questo è necessariamente un percorso che deve essere fatto in modo partecipato, unendo tutta la comunità.
Deganello – Uno dei risultati perversi di questa pianificazione a Treviso è certamente stato il centro Appiani. Un nuovo centro terziario progettato da un architetto di chiara fama, Mario Botta, committente la Fondazione Cassamarca, che ha letteralmente svuotato il centro storico di Treviso di quelle attivitá terziarie fondamentali che davano vita al centro storico stesso. Vedi Lib21, P.Bornello “Il centro storico svuotato dalla grande architettura”, 29.2013)
Manildo – Un centro storico non può competere con centri commerciali esterni sul fattore della comunità, ma non deve competere su quello, ci deve essere una percezione diversa: io vado perché sto bene e cammino con la mia famiglia, con il mio cane, vedo qualcosa che mi fa star bene quindi in questo modo io do qualcosa alla qualità della vita dei cittadini e do qualcosa anche per far crescere la competitività del centro storico. Tutti i centri storici stanno vivendo questo grossissimo esodo, questa grossissima uscita, perciò è un’inversione di tendenza che dobbiamo avere, perché c’è stata una deviazione……. Li c’è stata una miopia e dobbiamo ritornare a valorizzare, anche se il termine che mi piace tantissimo è: “le città come centri commerciali naturali”: ecco, il commercio nasce nelle città, abbiamo parlato della Mixitè, cioè uno va in città perché trova qualcosa. Ecco noi dobbiamo ritornare ad avere nelle città tutto, quindi sicuramente è importante che ci sia l’università, e nel caso pratico stiamo cercando di avere una visione di potenzialità di quello che le università possono dare e se lo Iuav (Facoltá di design) andasse a villa Margherita (vedi foto di villa Margherita) sarebbe per me una cosa bellissima perché sarebbe veramente uno spazio, un luogo: innanzitutto era la sede dei carabinieri ed aveva quel limite invalicabile che un pochettino metteva ansia, per cui se si parla di bene comune è qualcosa di fruibile da tutti e già il fatto di toglierlo serebbe una gran cosa per l’amministrazione…… Io parto dell’esistente: le due sedi dello Iuav sono in un unico complesso in edifici diversi non adeguatamente valorizzanti la funzione. Penso che ne debba essere valorizzata la funzione. Proprio nell’ottica del “motore”, io penso che Treviso si possa identificare come città del design: abbiamo moltissimi archivi d’impresa e di società che sul design possono dire molto. L’idea dell’università non tanto come campus ma come luogo che al suo interno è capace di organizzare una mostra e di essere motore di eventi culturali, di eventi di conoscenza di quello che si sta facendo. Su questo ci stiamo muovendo e siamo veramente a buon punto con un protocollo d’intesa con l’Hermitage di San Pietroburgo per essere noi sede di alcune mostre sul design che verranno fatte anche a San Pietroburgo… Quindi stiamo lavorando proprio nell’ottica di creare dei poli che siano poli vivi, che siano motori di formazione. Abbiamo la fortuna di avere anche altre università: abbiamo Cà Foscari e abbiamo Padova con la facoltà di giurisprudenza. Sicuramente è importante che nel centro rimangano le sedi di queste università ed è importante che, come ha fatto lo Iuav, arrivino ad avere una loro vocazione specialistica per cui qualcuno viene a Treviso perché c’è l’eccellenza, che non venga percepita la sede di Treviso come “la sede distaccata”, questa è una cosa che fa male.. Io penso che probabilmente sia necessario, anche in accordo con l’Università, pensare a un secondo livello di formazione postuniversitaria, dei Master o qualcos’altro, che renda Treviso peculiare e specifica, così in questo modo si riesce ad essere anche attrattivi, non che si vada qui perché è comoda, ma si venga a Treviso perché ha un valore e anche con l’università si sta andando in questa direzione.
Paolo Bornello – Treviso è cinta da mura che ne hanno per secoli bloccato lo sviluppo urbano, il centro storico è ben individuato, ma contemporaneamente la periferia dall’ottocento in poi si è sviluppata in modo completamente disordinato, non c’è un fatto urbano che la organizzi. La domanda è sul quartiere di Santa Maria del Rovere e sul riuso della Caserma Salsa. (vedi foto) Se quell’ area dismessa diventasse una sorta di centro civico dove organizzare tutti i servizi alla scala del quartiere, in modo che la reale città di Treviso diventasse il centro storico di Treviso più la prima periferia interna? Questo permetterebbe di riutilizzare i cosiddetti buchi neri (ossia le aree dismesse di grosse dimensioni: caserma De Dominicis piuttosto che Fabbriche De Longhi, etc) e di riorganizzare vaste aree di città attraverso una struttura urbana coordinata che entrerebbe in pieno nel concetto di Smart City, cioè darebbe la possibilità di concepire uno sviluppo urbano sistemico e non solo un riutilizzo generico.
Manildo – E’ il tema fondamentale dei buchi neri, di tutte queste grandi aree e unità immobiliari dismesse o abbandonate. Il loro recupero e la loro rigenerazione comportano necessariamente una trasformazione, quindi noi dobbiamo cominciare a ragionare in modo diverso, nel senso di non pensare più soltanto al centro di Treviso, solo per il fatto che esiste. L’Appiani ha spostato molto il baricentro della città e anche se a qualcuno non piace, stiamo diventando una sorta di ellisse con due centri. Il problema è che questi due centri non hanno avuto una relazione tra di loro. Io penso che un’amministrazione non possa esimersi dalla responsabilità di trovare, anche se non gli piace quello che è stato fatto, una relazione tra questi. E’ un pò la grande contraddizione che sto vivendo da otto mesi, per cui mi trovo a dover cercare di dare un senso a delle cose a cui da consigliere di minoranza mi opponevo fortemente. Però in questo momento sono io l’amministrazione ed il pallino passa a me e bisogna trovare la soluzione. Il fatto di ripensare lo schema dei quartieri rispetto al centro è oggettivamente una cosa da fare, è un qualcosa sul piatto. Per esempio il tema del riportare persone a viverci nel centro e a Treviso, perché il grosso problema di Treviso, non è soltanto del centro. Non è il fatto che i commercianti si lagnano, ma è che in centro non ci vivono più, non ci sono persone che ci vivono, quindi dobbiamo ripensare a come riportare persone a vivere: avevamo pensato la caserma Piave e nelle immediate vicinanze un social housing, abbiamo pensato in qualche modo a riportare vita. Ci stiamo pensando in vario modo sul social housing ed è stato più semplice pensarlo su un’unità immobiliare di nostra proprietà, che è la caserma Piave. Su altre, che non sono di nostra proprietà, lo stiamo valutando, ma sicuramente una delle priorità è di cercare di riportare residenti in centro.
Deganello – In che misura la problematica della domanda di case socialmente utili, che fanno far la fine a questa mistica della casa di lusso che ormai non si vende più e di cui le grandi città ormai sono piene, può permettere nelle rielaborazioni di piani convenzionati di reinserire nel centro storico le social housing utilizzando il già edificato. invece di fare quello che è stato fatto in molti casi di utilizzare il social housing come il cavallo di Troia per giustificare altre urbanizzazioni, altri consumi di suolo? Un social housing che solo e soltanto utilizza il già edificato è uno strumento che l’amministrazione può pensare di utilizzare attraverso una revisione dei piani convenzionati oppure è un’operazione troppo difficile?
Manildo – Non è troppo difficile. Ed è l’unico modo per dare senso a un’azione amministrativa, cioè dire “consumo del territorio zero” vuol dire anche cercare di recuperare i potenziali danni che non sono ancora stati, fatti, dobbiamo fare una sorta di rewind su alcune scelte che per fortuna non sono arrivate totalmente a compimento. Il fatto è che necessariamente queste scelte non hanno una dichiarazione generale astratta e precettiva in un Atto, perché altrimenti ci sarebbe subito ricorso, quindi non lo possiamo dire nel piano di indirizzo… Ancora una volta si fà di necessità virtù e ci si deve sedere attorno a un tavolo e andare avanti e cercare di ripensare, rimodulare tutti questi interventi. Sicuramente la chiave di un social housing vero è una strada che, lei ha detto bene, molto spesso ci fa pensare allo specchietto per le allodole: si fa trenta grammi di social housing e settanta di un’altra cosa. Diciamo che noi dobbiamo tornare indietro con grande attenzione sul fatto che quando c’è un piano convenzionato è già stato stabilito “il vantaggio dell’amministrazione”. Questo vantaggio dev’essere equipollente, (non dal punto di vista di interesse pubblico che magari è migliore, con una risoluzione con il privato) , ma dal punto di vista monetario , altrimenti ho la Corte dei Conti. Ecco c’è un po’ da ripensare anche a questo sistema per cui bisogna trovare esattamente la misura e noi siamo convinti che la strada giusta sia quella di sedersi con tutti questi soggetti che hanno avuto questi progetti e programmi di edilizia con convenzione per ripensare fortemente alla gestione del territorio.
Bornello – Con quali soldi?
Manildo – Il tema delle risorse economiche è il tema più tremendo. In campagna elettorale mi sono trovato che uno dei temi sui quali venivo più sollecitato era la voglia di essere ascoltati, ma anche la voglia di mettersi a disposizione. Quindi, l’idea della concertazione dell’amministrazione non come delega alle decisioni, ma come approfondimento e coinvolgimento era qualcosa che le categorie avevano già. Avevano fatto un documento tra sindacati e associazioni di categoria in cui chiedevano ai candidati due cose: il loro pensiero sulla Smart City e il loro pensiero sulla PaTreVe (Area metropolitana di Padova,Treviso ,Venezia), la necessità, quindi, che Treviso non abbia una autoreferenziale chiusura all’interno dei propri confini, ma sia capace di fare rete con i comuni vicini e cercare di costruire l’idea di grande Treviso entrando in relazione stabile con Padova e Venezia. Su questo campo, quindi, si apre la strada per cui dei capitali già esistenti da parte dei portatori di interesse possono essere messi in comunione tra tutti, ma soprattutto si apre la strada della potenzialità di andare tutti insieme a prendere i fondi europei perché quelli della programmazione 2014-2020 sono i fondi comunitari sullo sviluppo. Il Comune come pubblica amministrazione non è un soggetto che può andare a prenderli, ma quelli che possono andare a prendere questi fondi sono o università o enti di ricerca, quindi è importante che, comunque, il Comune abbia la regia con questi progetti. E’ questa l’ottica dell’accordo di programma con quella Smart Community… Stiamo facendo adesso un documento del bilancio che si chiama “documento unico di programmazione” ed è un atto del bilancio in cui si dice cosa vogliamo fare entro il 2018 e con che soldi lo finanziamo. Alcune cose sono competenze nostre, altre sono competenze di altri. Da questa visione di città nascerà l’accordo di programma che avrà anche azioni concrete. Su queste azioni concrete è libera la progettazione, si parlava prima di recupero dei quartieri e c’è qualcuno che ha l’idea di recupero dei quartieri in un’ottica smart, qualcuno che ha l’idea dell’illuminazione a led che proprio per il risparmio crea anche una certa redditività, c’è qualcuno che sta pensando a reti di fotovoltaico, quindi la possibilità che ci siano dei nodi autosufficienti di fotovoltaico legati tra di loro, le smart grid, per cui ci sia la possibilità che si legga il consumo e la necessità di consumo tra di loro e se la prendano senza passare da mille gestori….. All’interno dell’associazione Smart Community abbiamo pensato a due organi: il comitato di gestione e il consiglio di indirizzo. Mi è stato chiesto nei primi sei mesi, essendoci solo sei soci fondatori a fronte di potenziali soci innumerevoli, di fare il presidente dell’associazione Smart Community per la fase di StartUp. Poi il comitato di gestione ed il consiglio di indirizzo saranno dei luoghi dove effettivamente ci sarò la concertazione. A me piace questo perché siamo riusciti a far sedere attorno al tavolo tre università e anche vincendo delle illegittime voglie di protagonismo di una rispetto ad un’altra. Il fine comune deve essere la cosa che ci deve responsabilizzare tutti, abbiamo una grande occasione e ce la dobbiamo giocare. Questo sistema spero che venga accolto anche dalle altre due città di Venezia e Padova. Il Comune rimane regista e ci sono dei progetti per cui lo scouting di finanziamento ci dimostra che il Comune può andare in modo autonomo a prendere i finanziamenti. Ad esempio, la Camera di Commercio ha Treviso Tecnologia. Questo è un istituto che ha le potenzialità per andare a prendere un bando Horizon 2020: ed è quindi un soggetto che in modo autonomo può fare un progetto ed andare indipendentemente a prendere finanziamenti. È importante che ci si metta in rete, che si capisca e si dica come facciamo ad andare tutti nella stessa direzione all’interno di una visione della città. L’unico modo è creare quest’associazione “Treviso Smart Community”. Poi la nostra modalità: l’associazione al posto della fondazione è sicuramente innovativa, nel senso che le due esperienze che funzionano sono Fondazioni: Torino Smart City e Bologna Smart City. Però la fondazione ha dei limiti, cioè l’entrata del Comune in una fondazione porta con sé i limiti del “patto di stabilità” ed i limiti della contabilità pubblica. Questa è fuori proprio perché la nostra è una associazione. Sia il Comune di Padova che quello di Venezia stanno guardando a questo strumento di governance e speriamo che sia comune perché nel momento in cui arriviamo ad aver Padova e Venezia Smart Community abbiamo “PaTreVe Smart Community” e, tornando alla domanda di prima su come riuscire a risolvere il problema dell’eccesso di edificazione, se non ci si mette insieme a trovare un’unico centro non si va da nessuna parte. Se riusciamo a farlo sulla Smart Community quelli che possono sembrare degli auspici diventano veramente una grande potenzialità e concretezza.
Deganello – Possiamo chiudere fissando l’appuntamento tra due anni per vedere se le molte speranze che lei ha cercato di costruire a Treviso diventano realtà?