L’Italia non ci crede più
di Rosario Iaccarino –
In Italia non si crede più nella legalità. Una ricerca condotta da cinque università italiane – Cosenza, Messina, Firenze, Bergamo e Roma (La Sapienza) – curata da Alberto Costabile e Pietro Fantozzi e pubblicata recentemente da Carocci, conferma una percezione diffusa.
Lo studio, adottando un’ermeneutica neo-weberiana, evidenzia una sempre più debole adesione alla legalità come valore fondante della convivenza civile, con gli effetti negativi che conosciamo. Scrive Costabile, al riguardo, che è “la credenza nella legalità, che lega funzione e valore, a disporre il soggetto ad obbedire alla legge in quanto essa serve e vale, e non soltanto ed unicamente quando egli ritiene che corrisponda agli scopi particolari che si è prefisso”. Più in generale, secondo Fantozzi, la questione chiama in causa “i rapporti tra tradizione e modernità, i processi di istituzionalizzazione; le trasformazioni dello stato moderno, le interazioni tra politica, economia e comunità”, e si alimentadella mancata ricomposizione di due fratture storiche. La prima, di natura etica,condizionata dal conflitto tra Stato e Chiesa,che in Italia ha segnato la relazione tra secolarizzazione, laicità e affermazione del principio di legalità; la seconda, di natura economica,connessa alla crescita di un’Italia duale, che ha visto il Mezzogiorno penalizzato nel suo sviluppo dalla scarsa autonomia del mercato dalla politica, condizione che ha moltiplicato assistenzialismo e pratiche clientelari. Ma l’illegalità, sebbene con forme e accentuazioni differenti, riguarda Nord, Centro e Sud del Paese, rappresentanti istituzionali e politici e cittadini. La ricerca condotta su un campione scelto tra il ceto dirigente regionale in Toscana, Calabria, Lazio, Sicilia e Lombardia– imprenditori, dirigenti, consiglieri e assessori, esponenti della sanità, sia medici che manager – restituisce infatti“l’immagine di un paese attraversato trasversalmente da forme di illegalità tanto più preoccupanti quanto più diffuse, sommerse e difficili da individuare”. Nella ricerca curata da Costabile e Fantozzi si parla diuna “routinizzazione dell’illegalità”, che nel nostro paese si presenta sotto varie forme:il neo-patrimonialismo, il familismo, il clientelismo, l’assenza di trasparenza e di pluralismo informativo, il condizionamento di lobbies e gruppi di interesse, le discriminazioni di genere nei percorsi professionali. Ma se il valore della legalità è in ribasso, la retorica della legalità resta forte, soprattutto nelle classi dirigenti che la considerano “un principio inderogabile”; eforte è pure la tendenza a scaricare su altri le responsabilità del malcostume diffuso: un comportamento, questo, che la ricerca reputa un ostacolo insormontabilealla costruzione sociale della legalità.