Contro la crisi riprendiamoci i nostri sogni
di Rossella Aprea –
Ci stiamo avvicinando lentamente, ma inesorabilmente a una catastrofe perchè l’incertezza di quello che accadrà, determina una reazione di chiusura delle persone in se stessi, suscitando un atteggiamento egoistico, in cui ci si atomizza, si disperdono le forze. Così l’evento catastrofico diventa inevitabile. L’insicurezza e la confusione, con cui l’Europa sta balbettando i suoi provvedimenti, vanno di pari passo con un’intransigenza, che rischia di apparire ottusa e controproducente. L’Europa deve ritrovare il suo sogno e sui conti che non tornano bisogna immaginare e costruire un futuro.
La crisi che non c’era
Non è facile capire la situazione che stiamo vivendo e che sta modificando così pesantemente le nostre condizioni di vita. La crisi economica ormai ci tormenta quotidianamente da quasi un anno.
Sembra così lontano il tempo in cui la nostra preoccupazione di Italiani era legata sostanzialmente a un’immagine internazionale del Paese completamente compromessa da una figura divenuta politicamente inaccettabile come quella di Berlusconi, e lo affermo senza alcun riferimento a moralismi di sorta.
Era più o meno questo il periodo in cui l’anno scorso cominciava a farsi largo sulle pagine dei giornali nostrani l’idea che anche noi eravamo “dentro la crisi”. Il governo di centrodestra l’aveva accuratamente occultata per qualche anno, sostenendo prima che la crisi non c’era, poi che, se c’era, non ci riguardava, e infine, che c’era stata, ma l’avevamo superata. Gli Italiani avevano seguito come tanti topolini incantati il loro Pifferaio magico, credendo a ogni sorta di favola gli venisse raccontata.
A un certo punto la crisi, però, non solo ha fatto la sua comparsa, ma in tanti si sono affannati a sostenere che fosse persino grave.
Così noi Italiani abbiamo trascorso la scorsa estate frastornati, quasi inebetiti da improvvisi presagi di sciagure, senza riuscire a capire alcunché, se e come si fosse arrivati a tal punto, dove fosse questa crisi e chi stesse colpendo. La maggioranza degli Italiani, anche nella classe media, ancora non l’avvertiva. Ricordo bene i discorsi perplessi e stupiti, anche un po’ egoisticamente rincuoranti, del tipo “Per fortuna a me non tocca”. Eppure le fabbriche del nord-est stavano chiudendo l’una dopo l’altra da diversi mesi, eppure il numero dei precari e dei disoccupati aumentava, eppure il debito pubblico cresceva. Nonostante ciò la maggioranza di noi continuava a vivere tranquilla, incurante di quanto stesse accadendo intorno. Poi, la resistenza a oltranza di Berlusconi, la pressione dell’Europa, l’insediamento di un governo tecnico per un abile colpo di mano del Presidente della Repubblica e l’ossessione dello spread, il rigore, i sacrifici “lacrime e sangue” dei soliti noti, l’austerità e ora la recessione. Ma non basta. La crisi ci insegue (lo ha confermato anche il Presidente Monti) e non sappiamo se riusciremo ad avere fiato a sufficienza e forza nelle gambe per allontanarci.
L’Europa impotente
E l’Europa? L’Europa, cioè la Germania della Merkel, detta condizioni, impone regole, pretende sacrifici, se ne infischia delle persone. Il sistema finanziario che ci sta stritolando lentamente viene difeso a spada tratta dai nostri rappresentanti, incapaci di fare scelte in un’ottica europeista e stretti in una dimensione esclusivamente nazionalista, incapaci di prendere decisioni giuste contro i poteri forti e irresponsabili. Incapaci di difendere le persone, i cittadini e i loro diritti nei confronti di un mondo finanziario che pensa solo a se stesso. L’Europa politicamente non esiste, economicamente è fragilissima, ce ne stiamo accorgendo.
E’ vero quello che sostiene il sociologo americano Richard Sennett, che quando una catastrofe si abbatte improvvisa, la reazione immediata delle persone è di tipo solidaristico (come nel caso di terremoti o di altre sciagure naturali). Quando, invece, lentamente ma inesorabilmente ci si avvicina a una catastrofe, l’incertezza di quello che accadrà, dell’orizzonte che attende le persone, determina una reazione di chiusura in se stessi, un atteggiamento egoistico, in cui ci si atomizza, si disperdono le forze e questo contribuisce a rendere inevitabile l’evento catastrofico.
E’ quello che sta accadendo a noi di fronte agli effetti di una crisi economica in cui ci sentiamo in balìa delle onde di un sistema finanziario che si è ormai impadronito delle nostre vite e che non è più al nostro servizio. L’atteggiamento dei politici europei di fronte alla crisi è analogo. Ognuno si chiude in se stesso, guardando solo all’interesse del proprio Paese. Un esempio emblematico è la Germania, che, per quante ragioni logiche possano supportare la sua posizione, mostra di non avere un sogno comune da difendere, riducendo tutto a questioni di moneta e di interessi economici. In un mondo asservito a un mercato privo di regole, queste sono diventate le nuove regole, le uniche ragioni degne di essere sostenute.
Un sogno per combattere lo strapotere finanziario
E invece “è proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante” (Paulo Coelho). Nessuno sembra più ricordarselo. Non c’è più alcuno spirito europeista che animi i nostri rappresentanti politici e che ci venga da loro restituito. Non resta che una triste immagine di una serie di Stati in fila come birilli, alcuni traballanti, puntati l’uno dopo l’altro su questo o quel mercato finanziario, per essere abbattuti, demoliti, disintegrati, insieme ai loro popoli.
L’Europa risponde agli attacchi unicamente tentando di difendersi e scaricando le responsabilità sui Paesi che si sono rivelati finanziariamente più esposti e più deboli.
Non mi sembra eccessivo sostenere che siamo di fronte ad una guerra, una guerra di tipo economico, che richiede intelligenze, strategie e capacità per contrattaccare, per spezzare alleanze, per arrestare un circolo vizioso, attraverso un impegno di mezzi proporzionato a quanto ogni Paese è in grado di mettere in campo. Invece, i Paesi presi di mira dal mercato finanziario diventano le zavorre da scaricare, le cause dei loro stessi mali. Senza voler assolvere alcuno, le responsabilità da parte di Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia sono indiscutibili, anche se le situazioni debitorie in piedi da decenni, come i comportamenti scorretti e le gestioni dissennate sono state troppo a lungo tollerate, rendendo vulnerabile il mercato europeo, bersaglio facile per le grandi istituzioni finanziarie senza scrupoli, nelle cui trappole sono caduti gli Stati. L’aspetto più sorprendente di questa vicenda, però, è l’atteggiamento con il quale i governi dei Paesi europei stanno affrontando la crisi: l’insicurezza e la confusione, con cui l’Europa sta balbettando i suoi provvedimenti, vanno di pari passo con un’intransigenza, che rischia di apparire ottusa e controproducente. A questo gioco al massacro, messo in atto dalle grandi istituzioni finanziarie, non sembra intendano contrapporsi con decisione e in maniera unitaria, ma solo sottrarsi, facendone sopportare le conseguenze ai Paesi, ritenuti più irresponsabili. Il tentativo di unificazione economica dell’Europa si sta sgretolando sotto i colpi della speculazione finanziaria, non solo perché manca un’unificazione politica europea, ma perché manca quella visione, quell’orizzonte ideale che aveva animato e sostenuto i promotori dell’Europeismo.
Di fronte alla catastrofe che si avvicina la solidarietà, come dice Sennett, scompare, e il ricorso a regole di rigore economico, imposte con spietata freddezza, sono soluzioni illusorie. Ai più illustri economisti di fama internazionale, infatti, il comportamento degli esponenti politici europei appare suicida. La pressione fiscale sulle classi medio-basse non produce che un inevitabile avvitamento in una doppia recessione, accelerando così la corsa verso la catastrofe. Il circolo vizioso che ha innescato la crisi finanziaria, che poi ha colpito i debiti sovrani, continua come prima. Lo rivela la Relazione annuale della Bri (Banca dei Regolamenti Internazionali). “Gli istituti di maggiori dimensioni continuano ad avere interesse ad accrescere la leva finanziaria senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile fallimento: data la loro rilevanza sistemica, essi confidano che il settore pubblico si farà carico delle ripercussioni negative… Preoccupa inoltre vedere che, dopo una breve pausa indotta dalla crisi, l’attività di negoziazione è tornata a essere una delle principali fonti di reddito delle grandi banche”. La chiave per uscire dalla crisi va ricercata in queste poche righe: arrestare il comportamento speculativo e sconsiderato delle banche. Stiglitz lo dice con chiarezza: “l’influenza del denaro aumenta sempre di più, con conseguenze negative per l’economia e la società… la politica è alla radice del problema”. Una politica stretta nella morsa del potere finanziario ed esposta alla corruzione. Perciò, bisognerebbe ragionare non tanto su regole di rigore economico da imporre agli Stati, ma su regole di rigore morale da imporre sia alle istituzioni finanziarie che agli Stati. Da un lato, occorre cambiare le leggi della finanza, limitando il ruolo delle banche a quello creditizio e ponendo limiti a quello speculativo e, dall’altro, imporre agli Stati europei di condurre con il dovuto rigore ed impegno la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Il risanamento economico non sarebbe imposto con un iniquo prelievo fiscale, ma raggiunto attraverso un risanamento etico, che ne è il presupposto ineludibile.
Ritrovare l’Europa e il sogno che l’ha generata
L’Europa deve ritrovare il suo sogno, per realizzare il quale sono necessarie tre doti fondamentali: responsabilità, solidarietà e coraggio. Ha bisogno di politici veri e non di ragionieri con il pallottoliere asserviti alle grandi istituzioni finanziarie internazionali. Sui conti che non tornano bisogna immaginare e costruire un futuro, pensare a una soluzione per uscirne insieme, non sacrificando le persone sull’altare della finanza, ma colpendo duramente proprio le strutture finanziarie che hanno prodotto questa crisi. E’ in gioco non solo l’Europa, ma la democrazia e la nostra libertà. Il potere del denaro è in grado di influenzare e distorcere anche le nostre decisioni elettorali. Non ci sono rimedi semplici e immediati.
Tra le forze politiche e le istituzioni finanziarie occorre che si rafforzi la presenza di un terzo soggetto forte e inaspettato, che sparigli le carte, che faccia saltare gli equilibri perversi che si sono creati: una società civile solida e unita, che sappia riprodurre il sogno. Qualcuno ci ha mostrato che è possibile: l’Islanda. Toccherà ritrovare in noi stessi le energie per uscire dalla crisi, ma probabilmente questo percorso durissimo ci permetterà di recuperare molto di più della crescita economica. Non è detto che la crisi sia un male, se la sapremo sfruttare per cambiare il nostro orizzonte e la nostra visione del futuro non solo per noi, ma anche per chi verrà dopo di noi.