di Rossella Aprea –
Nel silenzio e nella discrezione più assoluta – neanche molti dei suoi amici sapevano della sua malattia – Mennea se n’è andato in punta di piedi, di quei piedi che lo avevano portato lontano e che a quelli che hanno conosciuto e seguito le sue imprese sulle piste di atletica tra gli anni Settanta e Ottanta ha regalato emozioni intense e il profondo orgoglio di essere italiani.
Da ragazzina mi sono rimasti impressi quei suoi due occhi guizzanti che spiccavano in un volto scavato dalla fatica, occhi pieni di energia, di determinazione, di voglia di riscatto, di rivincita, di sofferenza autentica. Impareggiabile quella inattesa falcata che improvvisa dopo l’incerta partenza si distendeva e lo trasformava in una macchina da guerra sulla pista. Un instancabile, umile lottatore, poco dotato fisicamente, eppure in quella piccola figura c’era tutta l’ “essenza”, come lui stesso sosteneva nei confronti di chi, all’inizio della sua carriera, lo definiva troppo magro. Il resto della sua vita è stato improntato ad affrontare sfide continue, che lo hanno portato a raggiungere tanti traguardi, diventando plurilaureato, deputato, docente universitario, autore di libri, promotore di iniziative umanitarie, fino all’ultima sfida affrontata, sono sicura, con la stessa caparbia energia lontano dal clamore e da occhi indiscreti. Correva Pietro, sempre. Anche quando ha smesso di farlo sulla pista, ha continuato a farlo nella vita.
E’ stato un simbolo, un modello per generazioni di giovani, come me, una delle più belle leggende sportive. In un momento in cui in questo Paese molti urlano e vantano capacità, qualità e competenze senza averne e senza improntare la loro esistenza a quel senso di lealtà, di sacrificio e di impegno, che nello sport, se praticato con passione e rigore, trovano la loro sintesi più alta, Mennea appare un gigante. Così la sua scomparsa ci priva di uno di quei pochi autentici simboli che ci hanno fatto e ci fanno ancora sentire orgogliosi di noi stessi e del nostro Paese. Abbiamo bisogno di punti di riferimento, di speranze, di credere che ce la si può fare senza barare anche con la sola forza di volontà, perchè in questo modo la vittoria avrà un sapore autentico e una bellezza ineguagliabile. Mennea ha incarnato tutto questo, attraverso la sua fisicità niente affatto atletica, la sua rabbia e la sua energia incanalata verso un obiettivo sano, e quell’umiltà profonda che lo spingeva ad allenarsi instancabilmente.
Niente potrà portarci via quel dito alzato al cielo alla fine di ogni competizione vinta, in cui si concentrava la fatica di mesi e anni di duro allenamento e quella voglia di fare bene soprattutto per se stesso. Tornare a guardare con ammirazione persone come lui sarebbe il segno che stiamo recuperando certi valori di cui stiamo forse cominciando a capire solo ora, troppo tardi, l’enorme importanza per noi stessi e per la vita del nostro Paese. Grazie, Pietro, per non esserti mai arreso.