Crisi dei ceti medi e nuova classe creativa
di Aldo Bonomi –
I microcosmi volano bassi nel loro essere piccoli mondi dell’orizzontalità sociale, tant’è che quasi mai si orientano in alto nel mondo della “macro-politica”. Al più raccontano della “micro-politica” e della “micro-fisica dei poteri” che resta sul territorio. Le recenti elezioni meritano un’eccezione alla regola che avevo già infranto con il microcosmo dedicato al tema della macro-regione del nord come tema da mettere in agenda. Anche se è rischioso raccontare mutamenti sociali ed esiti elettorali come fossero vasi comunicanti, non c’è dubbio che da questo ad aver smarrito la capacità di sentire e leggere ciò che cambia sul territorio, nella furia dei cervelli dei giovani precari e in ciò che resta dei lavori e delle imprese, ce ne passa. Ciò che emerge in primo luogo è il compiersi della crisi di rappresentanza del lungo ciclo del ‘900. Vista dal basso non è solo questione di Prima, Seconda o Terza Repubblica, ma dell’affievolirsi della delega delle passioni e delle visioni alla forma partito; degli interessi e delle piccole e fredde passioni delle molecole produttive e di ciò che chiamavamo lotta di classe alle rappresentanze delle imprese e del lavoro; di ciò che era percepito “in comune” allo stato. Ha ragione Marco Revelli: parafrasando il titolo del suo libro siamo di fronte ad una fine di partita che diventa “Finale di partito”. Il territorio da molti trascurato è un buon osservatorio del paradigma dei flussi che impattano sui luoghi. Applicando questo paradigma ai risultati delle elezioni è come se l’ideologia dei flussi, incarnata dallo spread e dal suo interprete ottimale il Prof. Monti, che il pacato Bersani prometteva di temperare con il simulacro delle socialdemocrazie europee, si siano ritrovati “circondati” da ciò che resta del forza-leghismo e da ciò che viene avanti sul territorio, il M5S. Ci si è dimenticati, solo per fare alcuni esempi non banali, dell’IMU sui capannoni, della resistenza dell’uomo indebitato e della disoccupazione giovanile attorno al 38 %. Così ci siamo ritrovati con la forma partito che più di altri aveva tenuto il filo rosso del ‘900 a vincere perdendo, con il PD arrivato primo ma perdendo 3.500.000 di voti. Con il forza-leghismo, ultima esperienza nata nel secolo “breve”, a praticare un declinare resistendo che gli ha permesso di rimontare sul piano nazionale ma cedendo quasi 8 milioni di voti tra PDL e Lega Nord e di vincere in Lombardia proponendo lo schema territoriale della macro-regione ove sopravvivere. Ma trincerandosi nei piccoli centri perdendo l’egemonia nel tessuto urbano delle città medie pedemontane, loro vecchia roccaforte. Con il movimento cinque stelle come nuovo soggetto di protesta del rompere emergendo forte non solo nelle città dove sono al lavoro i senza lavoro che definiamo lavoratori della conoscenza e della creatività e nel territorio ponendosi come teorico di un ambientalismo radicale che difende i luoghi dal capitalismo dei flussi (banche, corridoi infrastrutturali, ponti sugli stretti, inceneritori, …). Due poli di una tenaglia, basata su resistenze ed emergenze territoriali, che ha preso in mezzo la politica dei flussi, della “responsabilità” e dello spread. Una dinamica che ha scisso le scelte elettorali di due composizioni sociali, quella urbana del terziario e delle professioni e quella del contado, delle piccole imprese, del capitalismo molecolare ormai alle corde. Sono apparsi due “popoli”: l’uno rappresentazione della crisi dei ceti medi dell’impresa diffusa, l’altro di una classe creativa né riconosciuta né raccontata se non nelle community della rete. Popoli che non hanno trovato, fino ad ora, capacità di rappresentazione comune nella politica tradizionale. Mi pare questa la cifra di fondo della caduta delle culture politiche protagoniste del passaggio di secolo, il progressismo postcomunista e il forza-leghismo: la loro incapacità di sintetizzare la richiesta di resistenza all’austerity e ai flussi con la richiesta di innovazione, di rottura, di merito e di regole, della società e dei ceti terziari; il “non più” della micro-politica delle prossimità territoriali e il “non ancora” della macro-politica fatta di visione del mondo. Con un centro-sinistra e un centro rimasti in mezzo tra la raccolta dell’ultima istanza di difesa del capitalismo molecolare da parte del centro-destra e il movimento cinque stelle con i suoi temi da cognitariato metropolitano come ambiente, territorio, microcredito e reddito di cittadinanza oltre che con il collante forte dell’”anti-casta”. Dinamiche realizzatesi a geometria variabile sul territorio. Nelle pedemontane piemontesi e del lombardo-veneto è prevalsa la resistenza di un capitalismo molecolare che, come agli albori del leghismo, più che portare a coscienza le sue difficoltà nella crisi di un ciclo economico spera ancora di cavarsela con il 75 % delle tasse al nord. Con il M5S che muovendosi lungo l’asse della Via Emilia e la città adriatica giù fino al Sud passando dall’Italia di mezzo ha saccheggiato i forzieri dell’insediamento della sinistra. Certamente questo modo di forzare i microcosmi nel mondo alto della politica qui si ferma. Segnalando l’urgenza di continuare a cercare sul territorio ciò che resta del capitalismo molecolare in uscita dai recinti forza-leghisti, cosa ne sarà dei ceti terziari orfani della creatività e della resistenza comunitaria ai flussi del capitalismo delle reti che secondo molti mangia i beni comuni, di cui la TAV in Val Susa è diventata un caso emblematico. Soprattutto a Nord bisognerà anche seguire quanto il tentativo leghista di trasformare l’idea di macro-regione in vera comunità politica avrà successo nel riforgiare su base territoriale il legame tra città e contado. Ciò che è certo è che la politica dovrà riacquistare una capacità di porre, anche nella protesta, la questione di una economia che verrà fuori dagli schemi ormai logori del governo della tecnica. Magari riconoscendo, a partire dalle città, le energie vitali della furia dei cervelli e i problemi sociali del “Quinto Stato” messo al lavoro nelle reti metropolitane, praticando meno televisione ma ricominciando a camminare sul territorio e a navigare nella rete eletta a mezzo di democrazia diretta.
Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2013