Le condizioni di lavoro dei migranti
di Ferruccio Gambino –
Non è frequente che ci sia consentito di gettare uno sguardo informato sulla realtà della società cinese e, in particolare, sul suo mondo del lavoro. Die le vetrine del “Made in China” si intravvede ben poco delle condizioni di vita e di lavoro di quanti producono nell’Officina del mondo. Eppure, se si uol capire fino in fondo come funziona il capitalismo globale è di qui che bisogna passare. Il libro della sociologa cinese Pun Ngai è un’occasione preziosa.
Questo volume raccoglie sette saggi scritti da Pun Ngai, nota sociologa cinese, in collaborazione con alcuni suoi colleghi. Esso offre una visione certamente meno prometeica di quella che gran parte dei media occidentali ha riservato alla crescita industriale cinese dello scorso trentennio. Indubbiamente, abbondano le pubblicazioni e i siti di aggiornamento sulle vicende imprenditoriali in Cina ma sono piuttosto rare le analisi approfondite delle condizioni di vita e di lavoro nelle aree industriali e anche in quelle campagne da cui sono partiti i 200 milioni di migranti, ossia le lavoratrici e i lavoratori inurbati ma privi di residenza legale in città, di diritti di protezione sociale e di accesso all’istruzione. Eppure si tratta delle due generazioni che sono state e rimangono al centro dell’espansione produttiva e che le vetrine del Made in China si guardano bene dal mostrare.
L’introduzione italiana al libro, scritta da Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto, vuole rammentare a chi legge gli elementi di continuità e di cesura nella formazione del proletariato e nelle migrazioni cinesi della modernità. Come per gli altri Paesi asiatici dal Seicento fino ai primi decenni del Novecento, dalla Cina si emigrava prevalentemente sotto il giogo della servitù debitoria, salvo periodi di apertura dalle città portuali verso la California e l’Australia. Dopo la proclamazione della Repubblica popolare (1949), le migrazioni interne dalle campagne verso le cinture industriali sono filtrate da capillari controlli e misure legislative. Poi, a cominciare dalle aperture degli anni Ottanta, gli spostamenti interni assumono le dimensioni della maggiore migrazione non coatta della storia umana e il principale fenomeno sociale del nostro tempo.
Gli scritti di Anita Chan, Chin Kwan Lee, Lein Guang, Rachel Murphy, Pun Ngai, Mark Selden, Wu Jeh-Min e di altri hanno posto sotto la lente d’ingrandimento quelle due generazioni che l’ideologia dell’estinzione globale della classe operaia aveva provato a obliterare nello scorcio del Novecento. In particolare, come scrivono Pun Ngai e Chris King-Chi Chan nel primo saggio del libro, “resta il fatto che quando l’ovest incontrò nuovamente l’est, alla fine del ventesimo secolo, la ‘morte’ della classe si clonò. Gli studiosi occidentali, ossessionati dalla dichiarazione di morte dell’analisi della classe nell’ambito delle scienze sociali a partire dagli anni ’70, passarono velocemente e con naturalezza a un’analisi della stratificazione sociale di tipo weberiano… Ampiamente influenzata dagli studi provenienti dall’occidente, l’analisi della stratificazione e della disuguaglianza nella società cinese ha conosciuto una rapida popolarità all’inizio del nuovo millennio, in particolare tra i sociologi cinesi” (pp. 10-11). Alla obliterazione della dimensione di classe delle società industriali – e in particolare della società cinese – si oppone l’analisi documentata di Pun Ngai.
Il volume intende dunque gettare un fascio di luce sulle condizioni delle operaie e degli operai cinesi che sono migrati dalle campagne e illustrare il peculiare regime delle enormi fabbriche-dormitorio nelle nuove aree industriali del trentennio successivo all’apertura ai capitali stranieri da parte di Deng Xiaoping (1978). Polemizzando con qualche sociologo cinese, gli autori scrivono che non si tratta di una classe operaia “ontologicamente perduta”, bensì di giovani che, pur nelle dure condizioni di orario e di salario, hanno trovato l’energia e il coraggio di muoversi contro lo stato presente delle cose. Mentre gli organi governativi e in generale la sfera pubblica si sono progressivamente disimpegnati dall’area della protezione sociale, a meno di una resistenza capillare ed endemica le condizioni di lavoro sarebbero potute scivolare lungo il piano inclinato dei tristi regimi lavorativi prevalenti nelle Concessioni occidentali della Cina del primo Novecento.
Lasciata la comunità originaria, i circa 200 milioni di migranti del trentennio scorso hanno creato nuovi legami urbani in un processo di proletarizzazione tutt’altro che concluso. Se nei primi due decenni i migranti chiedevano senza rivendicare, la nuova generazione vive un’evidente divaricazione tra le aspettative di vita e le esperienze di lavoro e di conseguenza rivendica pubblicamente e talvolta in modo drammatico. Quella dei migranti cinesi è una classe operaia presente a se stessa.
Il libro esamina i temi delle grandi migrazioni interne verso l’industria, del regime di fabbrica-dormitorio – in parte di derivazione sovietica – per le giovani e i giovani migranti, la radicalizzazione degli scioperi, le insorgenze collettive. Inoltre sono affrontati sia lo spinoso tema del sub-appalto e della concomitante violenza nell’edilizia delle megalopoli sia quello dello sfruttamento spinto ai limiti della sopportazione umana nell’industria elettronica, alla quale viene dedicato il capitolo finale.
In breve, chi leggerà questo libro verrà indotto a guardare con altri occhi al “miracolo” del capitale in versione cinese, alle conseguenti trasformazioni dello stato, alle forme del conflitto e all’instabilità inerente all’assetto produttivo del regime di fabbrica-dormitorio. Dall’interno della Cina viene così portata alla conoscenza del pubblico italiano un’esperienza collettiva di dimensioni umane estreme. Anche se qui tendiamo a rimuoverla, è una vicenda sempre più connessa al nostro presente e ancor più al nostro futuro.
Pun Ngai, Cina, la società armoniosa. Sfruttamento e resistenza degli operai migranti, Milano, a cura e con introduzione di Ferruccio Gambino e Devi sacchetto, Jaca Book, 2012, pp. XXVIII, 196, € 20