Come la crisi sta trasformando gli italiani
di Rossella Aprea –
“Qualcosa è cambiato” era il titolo di una delicata commedia americana del 1997 con uno straordinario attore protagonista come Jack Nicholson. Un titolo che calzerebbe a pennello alla nostra situazione di oggi, se non fosse riduttivo affermare che solo qualcosa è cambiato, e tra l’altro con una straordinaria e impressionante rapidità.
Basta guardarsi intorno, sfogliare i giornali e leggere le notizie riportate nelle ultime settimane per rendersene conto. Chi avrebbe mai pensato anche solo qualche mese fa che alcuni lavoratori avrebbero accettato di lavorare al freddo, senza riscaldamento a una temperatura di 16 gradi, piuttosto che essere licenziati? All’azienda della Tekfor in Valsusa, nel tentativo di risparmiare, si è deciso di limitare drasticamente il consumo del combustibile per il riscaldamento con il consenso dei dipendenti, pur di evitare qualsiasi forma di ridimensionamento del personale.
Dalla fine del 2011 e con sempre maggiore insistenza avrete fatto caso che ricorre spesso l’uso dell’espressione “fare sacrifici”. Un’espressione che potremmo definire “vintage”’, tornata tristemente d’attualità. Mi richiama alla memoria un periodo di storia italiana in cui “fare sacrifici” era la normalità, soprattutto una necessità nell’Italia del dopoguerra.
Chi avrebbe mai detto, solo qualche mese fa, che la crisi economica, insieme con la gravosa tassazione che sta mettendo in ginocchio le famiglie italiane, incidendo pesantemente sul loro tenore di vita, avrebbe costretto molte di queste famiglie a cercare guadagni extra, affittando la camera vuota del figlio fuori casa per motivi di studio o lavoro? Sta crescendo, infatti, non solo l’offerta, ma anche la domanda di stanze in affitto, e non solo da parte degli studenti, ma anche dei lavoratori sempre più precari, che non sono in condizione di sostenere i costi proibitivi di un monolocale. Guarda caso, anche la camera in affitto è un classico del dopoguerra.
Precipitano del 20% le vendite delle auto e se ne ridimensiona anche l’uso, soprattutto in città. Si riducono le spese per lo svago, i viaggi, l’abbigliamento. Nemmeno i saldi riescono a stimolare i consumi. Chiudono aziende e negozi, cresce la disoccupazione, mentre si comprimono gli stipendi reali sotto il peso di un’inflazione che ha rialzato la testa, e non è un caso che stiano aumentando i commercianti ambulanti, che stazionano per poche ore all’angolo di una via più o meno trafficata, vendendo ogni sorta di oggetto, cibo e abbigliamento nel proprio furgoncino. E’ stata innalzata l’età pensionabile ed è aumentata la tassazione soprattutto a discapito delle classi con redditi medio-bassi. L’IMU, poi, sta provocando un’immissione sul mercato di immobili in vendita che ha già determinato una riduzione del valore delle case. La mancanza di liquidità e l’estrema difficoltà di ottenere mutui dalla banche sta dando vita a un altro fenomeno inusitato, la diffusione della vendita delle nuda proprietà degli immobili.
In una parola, questa complessa situazione sta invertendo la tendenza consumistica e opulenta di una società, che non conosceva profonde difficoltà economiche da oltre quarant’anni, incidendo inevitabilmente sulle abitudini degli italiani. La netta sensazione è che dopo un periodo di prosperità, di espansione di beni e consumi, a cui potevano accedere anche le classi meno abbienti, oggi il tenore di vita sia improvvisamente peggiorato, toccando non soltanto gli strati più modesti della popolazione, ma anche intaccando significativamente la middle class, che si sta progressivamente assottigliando.
“Fare sacrifici”, questo è il nuovo dictat, rispetto allo “spendi e spandi” ironicamente cantato da Rino Gaetano trent’anni fa. L’italiano è un popolo che si adatta rapidamente alle situazioni che cambiano anche così repentinamente come quella che stiamo vivendo. Così molti si stanno adattando alla nuova situazione, inventandosi soluzioni per integrare le magre entrate e ridurre i consumi. In pochi mesi da paese prospero siamo diventati un paese ripiegato su se stesso e decisamente più povero. La bolla dell’espansione illimitata e della gestione sconsiderata di ogni segmento, ogni ganglo vitale del nostro sistema burocratico-amministrativo è scoppiata. La decrescita che taluni esaltano come l’anticamera della felicità, come l’unica prospettiva di salvezza, è già qui, ma non ha i colori splendenti di un mondo nuovo, bensì quelli foschi di un male antico, che l’Italia conosce bene: la difficoltà del vivere quotidiano.
Molte cose stanno cambiando, ma non la classe politica, che è in buona parte responsabile di questo stato delle cose e che sembra convinta di poter persistere nel suo scellerato progetto di potere senza alcuna remora e senza alcun senso di colpa, mantenendosi abissalmente lontana dal mondo degli elettori. Così, fuori dalla realtà, la maggior parte dei politici continuano a riprodurre un‘incomprensibile danza di alleanze pre-elettorali, muovendosi come in una partita a scacchi e replicando vecchi discorsi, pur avendo ormai perso ogni forma di credibilità politica, in un assordante vuoto di programmi e progetti per il Paese e la sua futura gestione, ma animati, è evidente, dall’unico obiettivo di accaparrarsi condizioni e posizioni di potere sempre più ampie in una logica opportunistica e affaristica di pura e semplice spartizione.
In realtà, il primo, imprescindibile cambiamento per rilanciare l’economia e rendere meno fosco il nostro futuro, sarebbe proprio quello di rinnovare radicalmente la classe politica alla guida del Paese, per arrestare questa spirale mortale nella quale ci stiamo avviluppando e cominciare a spezzare quella rete di legami, di collusioni e di illegalità che pervadono ormai ogni angolo delle nostre istituzioni e della nostra economia, a tutti i livelli. Un cambiamento per disporre, quanto meno, l’animo alla speranza, oltre che per intraprendere un percorso sicuramente lungo di spoliazione di quell’individualismo esasperato a cui siamo giunti nell’arco dell’ultimo ventennio, per recuperare e consolidare un senso civico, uno spirito di rispetto del bene e dell’interesse comune, presupposto necessario per rinnovare realmente il Paese, per cambiare faccia e facce, incamminandoci una volta per tutte sulla strada della vera democrazia.
Queste elezioni si preannunciano molto combattute e concitate, ma poco stimolanti per gli Italiani che non si sentono rappresentati, soprattutto dagli schieramenti politici tradizionali. Molti non voteranno per insoddisfazione, scelta che costituisce, comunque, una pericolosa rinuncia a esercitare il “proprio potere”. La maggioranza, sembra chiaro sin da ora, voterà senza convinzione, per inerzia, per mancanza di una reale alternativa, per paura di cambiare, nell’incertezza del nuovo. Sarebbe, invece, da domandarsi come si possa continuare a votare gli schieramenti tradizionali, su cui ormai non vi dovrebbe essere più alcuna incertezza. Non si sente parlare, da settimane, di altro che del gioco degli accordi e delle alleanze in un vuoto profondo e sconfortante di concretezza, di riferimento a problemi e formulazione di programmi per risolverli, costretti a subire le solite, ormai intollerabili dichiarazioni di intenti, tutti pressocché dello stesso tenore e, poi, puntualmente disattesi una volta raggiunto lo scopo di aver conquistato un seggio da qualche parte: Comune, Regione, Provincia, Parlamento. Ricevuta la delega in bianco dagli Italiani, la classe politica si comporta da sempre come un predatore famelico, pronto ad azzannare e spolpare la sua preda.
Forse dovremmo guardare a questa crisi in maniera diversa, convinti che potrebbe rivelare anche qualche risvolto benefico. Se riuscisse almeno a farci recuperare un senso più pieno, più profondo e più essenziale delle nostre vite e a liberarci da quelle pastoie di potere, inefficienze, incompetenze e illegalità, che stanno portando a un inevitabile collasso del nostra sistema Paese, potremmo quasi considerarla una inattesa, anche se dolorosa, occasione propizia. Potremmo forse liberarci di quell’ipertrofia dei consumi che ha condizionato i nostri comportamenti negli ultimi decenni e ritrovare un senso più autentico del fare, del vivere e, soprattutto, del vivere insieme.