La politica e le nuove Lombardie (in crisi)
di Aldo Bonomi –
Fernand Braudel nel suo racconto delle lunghe derive della storia ci ricorda che non si sviluppa un città ricca senza l’intorno di una campagna florida. Da qui il suo continuo ritornare sull’antico intreccio Città-Contado.
Raccomandazione che mi sentirei di porre all’attenzione sia delle primarie civiche del centrosinistra, sia della trattativa infinita Lega-Pdl, così come dell’Albertini che resiste. Sinora il dibattito sulle fibrillazioni della politica sono partite da Milano e agli scenari nazionali hanno guardato. Sarà bene ricordare, al di là dell’election day, che si vota per la Regione Lombardia. Che certamente ha e avrà un peso nazionale, ma che è anche un territorio complesso e articolato in metamorfosi dentro la crisi. Che è profonda, non solo per le sue conseguenze economiche e sociali, ma anche perché è arrivata al capolinea l’idea di sviluppo tutta giocata sull’iniziativa dei singoli attori, dei singoli territori, persino dei singoli individui.
Si chiede alla politica una visione, una cornice di significato comune, altra dal senso comune, necessaria per governare le dinamiche dei flussi che hanno investito i sistemi territoriali. Anche il sindacalismo territoriale, che tanto ha segnato, dentro la retorica del federalismo, la cultura politica degli ultimi 20 anni, e quella sussidiarietà dall’alto del Pirellone che discendeva per i rami dell’agire privato e «comunitario», sono in fase di impasse perché deficitari nell’innervare visioni e spunti per stare dentro la metamorfosi. Nella piattaforma alpina, che va dall’alto Varesotto alla Valcamonica, passando per la Valtellina e le valli bergamasche, c’è una crisi del manifatturiero caratterizzato dalla regressione della risalita a salmone nelle valli dell’imprese pedemontane che si salda alla crisi diffusa del micro artigianato dell’edilizia. C’è un crisi delle dinamiche transfrontaliere, unita alle diminuzioni dei lavori nel turismo e nell’edilizia innestati sul ciclo finito delle seconde case. Vi è una difficoltà a pensare il legno e il bosco come risorsa e tensioni nel negoziare la risorsa acqua con i big player dell’idroelettrico. La Regione è stata considerata contemporaneamente mamma e matrigna. Si attraverserà la crisi solo con un rapporto adulto tra la politica e i figli delle Terre Alte. Adagio che vale ancor di più per la piattaforma pedemontana che va da Malpensa a Montichiari. Qui morde la fine dell’epopea della stagione del capitalismo molecolare entrata in sofferenza acuta dopo aver cercato in tutti i modi di adattarsi, in solitudine o in filiera, al mutato contesto. Resta un’ossatura di medie imprese internazionalizzate, un certo movimento in entrata di flussi globali, con rischio di shopping dei gioielli di famiglia, e un esodo di pezzi di manifattura e di sedi legali per evitare lo stress fiscale nel Canton Ticino. C’è molto da fare nella crisi del modello delle 3C (casa, capannone, campanile) che avevo narrato anni fa nell’agglomerato della città infinita.
Su questo territorio, un tempo opulento, si segnala più che altrove l’influenza crescente della criminalità organizzata nel tessuto della vita economica, sociale e istituzionale. In quella che era la città infinita vi è una ricerca da parte delle città intermedie (capoluoghi di provincia?) Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, di riposizionarsi come città terziarie che intrecciano servizi alle imprese manifatturiere e servizi per la qualità della vita, versione pedemontana delle smart city. Una rete di città che fa i conti sia con il policentrismo spinto sia con il difficile rapporto con Milano città-metropolitana, città-regione. Milano. Appunto. In transizione da uno spazio di posizione di città porta sul mondo ad uno spazio di rappresentazione che oscilla tra città industriale che non è più e città terziaria dei servizi che non è ancora. Ne fa fede il tumulto nel terziario e nel mondo delle professioni che sta provocando nella crisi processi contradditori: da una lato tende a frammentarsi e a precarizzarsi sempre più e a soffrire di declassamento, dall’altra c’è un’élite in rete con il mondo che sta più nel mondo che a Milano. L’affermarsi della società della conoscenza non è un percorso indolore di mobilità sociale e di formazione di nuovi ceti medi. Di una cosa sono certo: riproporre schematicamente ciò che avviene a Milano come soluzione per il contado non è la soluzione politica. La questione è l’intreccio tra Milano e le Lombardie dei territori, non l’egemonia dell’uno sull’altro. Ne tengano conto i candidati del centrosinistra.
Questo vale anche per il contado. Sono passati i tempi del ’93, quando in piena Tangentopoli la lega conquistò Milano. Ne tenga conto Maroni. Del resto, se si vuole, nella sua dimensione culturale più alta il ragionamento sul rapporto tra megalopoli e campagne sarà uno dei temi che attraverseranno Expo 2015, fornendo così un’occasione per ragionare su scala globale sui modelli di sviluppo. Per tornare all’agricoltura florida di Braudel c’è poi da raccontare l’asse della bassa padana che va dalle cascine ove lavorano i Sikh, da Pavia a Mantova passando per Lodi e Cremona, con le loro eccellenze fatte di antiche università, ospedali, festival della letteratura, e agroindustria. Il tema della green economy partendo dalla terra qui è di totale attualità: l’uso del suolo rispetto all’espansione a sud di Milano e l’irrompere della logistica che vuole spazi sull’asse verso Piacenza qui sono questioni di futuro. So bene che sullo sfondo di questo breve racconto territoriale ci sono nodi politici di forte rilevanza nazionale. Dal peso dei numeri al Senato per chi vince in Lombardia, sino alla «questione settentrionale» che riappare nello schema maroniano della macroregione del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto) che guarda più a Monaco e Lione che a Roma. Forse proprio per questo sarà il caso di ragionare partendo dalla metamorfosi delle Lombardie nella crisi stressando la politica affinché produca visioni adeguate ai tempi. Le elezioni servono a questo.
Tratto da Il Corriere Edizione Milanese