“Alti Cibi” per tutti: migliora la qualità della vita
di Rossella Rossini –
Poesia da mercanti e numeri d’impresa. Si rappresenta così quello che i suoi inventori definiscono “l’antimodello Eataly”, il meglio del made in Italy enogastronomico e agroalimentare che coniuga dimensione locale della piccola impresa e vocazione globale. E’ il marchio che da Torino, dove il fondatore Oscar Farinetti ha aperto il primo negozio cinque anni fa nell’area recuperata di una vecchia fabbrica della Carpano, ha invaso l’Italia e il mondo.
I numeri
Oggi i punti Eataly nel nostro Paese, attivi nella vendita e somministrazione di generi alimentari tipici e di qualità, sono 9, tra Torino, Pinerolo, Asti, Monticello d’Alba, Milano, Genova, Bologna e Roma. Nuove aperture sono imminenti a Bari, Piacenza, Firenze, Milano e Verona. All’estero, dopo New York un secondo punto vendita aprirà negli Stati Uniti a Chicago, con un investimento da 20 milioni di dollari giustificato dai numeri del fatturato (70 milioni di dollari e 6 milioni di visitatori nel primo anno di attività, saliti nel secondo anno rispettivamente a 85 e 7 milioni). In programma anche aperture a Boston, Los Angeles e Toronto. In Giappone i corner Eataly di distribuzione alimentare sono 11, con le aperture a Yokohama e Osaka dopo i 9 di Tokyo. Seguiranno Istanbul, con un franchising; San Paolo del Brasile; e poi le scommesse di Londra, dove si sta trattando per uno spazio al Covent Garden, e Parigi.
I dipendenti della holding, comprese le compartecipazioni di Eataly Produzione in 19 marchi alimentari di alta qualità che forniscono circa il 25% dei prodotti venduti, sono 2.300 e raddoppieranno entro il 2015. Il fatturato consolidato è stato di 212 milioni di euro nel 2011 e il 2012 si appresta a chiudere a 300 milioni.
La società, che ha adottato lo slogan “Alti Cibi”, rientra nel filone culturale della riscoperta delle radici enograstronomiche rappresentato anche da Slow Food di Carlin Petrini. Controllata al 60% dalla famiglia e per il restante 40% da una miriade di soci tra cui anche alcune cooperative del sistema Coop, vuol farsi conoscere non solo per i numeri ma anche per la sua filosofia, di gestione e di vita.
Nell’Eataly più grande del mondo
A Roma, la sede più grande al mondo, Eataly ha investito 80 milioni di euro, compreso l’acquisto, la ristrutturazione e l’arredo della straordinaria struttura di Julio Lafuente, alla stazione Ostiense, inaugurata per i mondiali di calcio “Italia 90”, destinata a servire come terminal per l’aeroporto di Fiumicino e abbandonata per vent’anni al più totale degrado. Recupero e riqualificazione urbana appartengono alla filosofia del gruppo. “Ma l’investimento maggiore, qui come in tutte le nostre strutture, è quello che facciamo sui nostri collaboratori”, dice il direttore di Eataly Roma, Gerôme Bourdezeau. Oltre 500 dipendenti – commessi, cassieri, camerieri, cuochi, addetti alla logistica e alla manutenzione, amministrativi – in grandissima parte giovani entrati per la prima volta nel mondo del lavoro, ma anche persone di oltre 50 anni con esperienze difficili alle spalle, che vengono accolti, coinvolti e formati in un clima di comunità e di partecipazione. Il contratto applicato è quello del turismo e la forma contrattuale prevalente sarà sempre di più l’apprendistato, con tendenza alla stabilizzazione, accanto al ricorso ad agenzie di somministrazione, in via di superamento, reso necessario dai 6-7.000 colloqui svolti per la selezione. “Facciamo molta formazione per tutti. A tutti, a rotazione, diamo tutte le conoscenze sul lavoro in Eataly. Vediamo tanta curiosità e fame di imparare”, afferma il direttore. Gli stipendi? Mille euro netti mensili per 40 ore settimanali, oltre ai pasti nei 10 ristorantini che fanno parte dei 23 luoghi di ristoro; con un range che, in tutto il gruppo, non può superare il rapporto di 1 a 5 tra la paga più umile e la retribuzione più alta, comprese le funzioni manageriali. “Si tratta di garantire dignità senza estremismi economici insensati – dice ancora Gerôme – si può vivere bene all’interno di questo range essendo felici della vita professionale”. Nella stessa filosofia gestionale e di vita rientra la scelta della Srl di non distribuire dividendi e investire tutto l’utile in sviluppo. E vi rientra l’intensa attività didattica per educare alla cultura alimentare svolta nelle 8 aule vetrate alle scolaresche del territorio e ai pensionati (ai quali s’insegnano piatti ricchi con ingredienti poveri: come, ad esempio, cucinare bene una buga, che costa 3 euro al chilo contro i 30 del branzino).
Tra poesia e filosofia
A riassumere la filosofia gestionale e di vita del gruppo sono anche parole che si ripetono nei “manifesti” indirizzati a clienti e consumatori: armonia, bellezza, qualità. Come il “manifesto di Eataly”, i cui capisaldi sono la passione che si trasforma in professione; l’amore per le tradizioni, per i cibi e le bevande di qualità e per gli uomini e le donne che li producono; la comunione tra persone e strati sociali creata dal buon cibo e dalla condivisione di una storia e di una cultura alimentare; la creazione di grandi spazi aperti, dove tutti si possono incontrare, mangiare, comprare, imparare, ognuno secondo le sue preferenze e disponibilità. Tutto questo per contribuire a migliorare la qualità della vita.
Ma quali sono gli ingredienti principali per costruire una buona qualità della vita? “Glieli dico in ordine d’importanza”, risponde Farinetti, incontrato a Eataly Roma la sera in cui si svolgeva la cena curata da quattro grandi chef per raccogliere fondi da destinare a una onluss che organizza un treno della memoria per Auschwitz. “Primo, avere sempre il senso del dubbio e farlo prevalere sulle certezze, perché non essere mai sicuri di niente è l’unica maniera per crescere. Secondo: mangiare bene. Terzo: vivere con un partner che sia l’uomo o la donna della tua vita. Quarto, che diventa zero, avere tanta fortuna. Se questi elementi ci sono, la convivialità, che è qualità della vita, viene da sola”.
Piccole imprese di qualità
La dimensione della piccola impresa artigianale e locale di qualità non è salvaguardata soltanto nella scelta dei fornitori. Nella grande Babilonia di 4 piani per 17.000 mq che è Eataly Roma, la testimonia la presenza di una decina di piccole aziende “terze”, parte integrante dell’offerta di ristorazione e distribuzione e con entità societaria distinta. Come quella di Roberto Battaglia, che viene da Caserta e in Eataly ha aperto un caseificio con lavorazione della mozzarella “a vista”. “Tutte le mattine alle 4 da Caserta partono gli automezzi che trasportano il latte, il capo casaro e 3 operai, solo gli addetti alla vendita li ho assunti e formati a Roma”, dice Battaglia. La sua bottega produce circa 300 chili al giorno tra mozzarelle, caciocavalli, ricotta e altri prodotti, che nel fine settimana diventano 500. Da Cervia, in provincia di Ravenna, vengono i giovani fratelli Maioli, “ambasciatori” (così si definiscono: “perché Roma è proiettata nel mondo, è una città cosmopolita”) della vera piadina romagnola. La producono davanti ai clienti a partire dalla lavorazione dell’impasto, nel punto ristoro che dà lavoro a 11 persone. Davide Barrucco, 35 anni, pizzaiolo viene dal Piemonte, dove ha iniziato la professione, ed è in Eataly dal 2006. “Nel gruppo – racconta – mi occupo dell’apertura di pizzerie, formo la squadra e poi vado altrove. A Roma ho 11 collaboratori, mi porto dietro 15 anni di esperienza ma non si smette mai di’imparare”, dice riferendosi alla scoperta del lievito madre. Con il lievito madre, must per la panificazione di Alti Cibi e rinfrescato quotidianamente con farine macinate a pietra di grani duri di eccellenza come la Tuminia, lavora anche Raffaele D’Errico, 26 anni, panificatore proveniente dal presidio Slow Food di Priverno in provincia di Latina. Alle sue dipendenze ha 10 persone. Solo 2 erano fornai, agli altri ha insegnato il mestiere.