“Tebe”, il comitato per la conservazione dell’identità
di Oscar Nicodemo –
Le contraddizioni, i paradossi e finanche le assurdità che si registrano nel rapporto tra Stato (o istituzioni statali) e cittadini, tra pubblico e privato, ed infine tra interesse singolo e interesse collettivo, costituiscono un aspetto sintomatico che vale a misurare il degrado morale e culturale della nazione. Gran parte, infatti, del patrimonio pubblico urbanistico e storico delle nostre città rischia la più indicibile delle svendite, banalmente motivata da un’insana concezione del risparmio che rivela sconsideratezza. Non è pensabile stabilire di disfarsi di beni che hanno un notevole valore estetico al fine di evitare un costo di mantenimento degli stessi, che, per quanto possa risultare cospicuo, potrebbe rivelarsi un investimento per creare occupazione ed economia.
Pertanto, appare provvidenziale, oltre che opportuno, la nascita di un comitato che mira alla funzionalità delle istituzioni benefiche e dei rispettivi patrimoni, cercando di farne osservare le originarie finalità e di difenderne l’autonomia, l’utilità sociale e la continuità storica. E quello fondato da Oliva Salviati, accanto a Salvatore Settis, archeologo e giurista, al critico d’arte Achille Bonito Oliva, a Emanuele Conte e Saverio Simi de Burgis, con Giscard D’Estaing come Presidente onorario, appare ben attrezzato per far fronte alla tutela e al recupero del patrimonio dei lasciti benefici, degli Enti Ospedalieri, Collegi, Opere Pie. Denominato “Comitato Tebe”, esso ha tra i suoi obiettivi soprattutto quello di proporsi come interlocutore e, solo se necessario, disporsi come controparte di amministrazioni locali, enti pubblici e privati, che sovrintendono al patrimonio del genere indicato.
Non vi è dubbio che operare per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, in merito alla funzione delle corporazioni benefiche nella realtà contemporanea, rappresenta una di quelle sfide a cui è chiamata la società civile per difendersi dagli abusi di una classe politico-burocratica, che, dopo aver fatto incetta di quattrini pubblici, si appresta a dilapidare il patrimonio architettonico e ambientale, rischiando di provocare una sciagura culturale di incalcolabili danni. La fondatrice del “Tebe” sembra assurgere, nel tentativo di evitare un disastro sociale di tale portata, un ruolo di particolare importanza strategica e di grande significato morale; e quando, in occasione della recente presentazione del suddetto comitato, nel medievale Palazzo Sacchetti, a Roma, espone con semplicità e grazia la propria inquietudine per l’alienazione di beni collettivi, che, una volta soggetti a cambi di destinazione d’uso, potrebbero falsare l’identità stessa del nostro paese, prospetta allo stesso tempo una preoccupazione che riguarda l’intera umanità. La presenza, tra gli autorevoli relatori della “Sala dei Mappamondi” del meraviglioso edificio di “Via Giulia”, di Giscard D’Estaing al fianco della gentildonna, promotrice di una battaglia ideale di tanto rilievo, testimonia ampiamente quanto appena asserito.
“L’Italia è di tutti gli italiani, oltre ad essere la culla della civiltà occidentale. Il suo immenso patrimonio va gestito e conservato nel modo corretto, e non disperso. Un’oculata gestione potrebbe, persino, sanare il debito pubblico” -sostiene l’emerito Presidente della repubblica francese.
Ma le donazioni, consistenti in tenute, appartamenti, castelli, palazzi nei centri storici, sono diventate un patrimonio regionale, e la legge 410 del 2001 ne consente la vendita. “Il patrimonio storico costa, in quanto cade in rovina, non serve e quindi va valorizzato!” -si afferma con oscena stoltezza- Così si è dato luogo alla grande svendita di un patrimonio comune, regalato a pochi acquirenti, in totale assenza di trasparenza. Ecco perché i propositi del ”Tebe”, protesi a trovare soluzioni alternative alla vendita, possono invertire una tendenza che svilisce di contenuto la possibilità di lasciare alle generazioni future un giacimento storico non indifferente, in maniera tale da rispettare la volontà di chi ha fatto dei lasciti per la pubblica utilità, salvaguardandoli con le modalità di una gestione virtuosa.
Prendersi adeguatamente cura delle donazioni che, nei secoli, generosi cittadini hanno effettuato nell’interesse della comunità è, a questo punto, un’esigenza che ogni italiano orgoglioso e cosciente dell’identità storica del proprio paese deve avvertire con vigore. Diversamente, rappresentiamo una società che avrebbe profondamente scandalizzato le precedenti che hanno abitato i nostri luoghi.