Chi educa i bambini e i giovani?
di Marta Boneschi –
Nel paese che ha prodotto Maria Montessori (e che l’ha ripudiata, perché di intenti troppo liberali per essere accettati) l’educazione è un’opzione, non un obbligo sacrosanto degli adulti nei confronti dei più giovani. Eppure la società moderna è salda solo quando è un insieme di persone libere, capaci di scegliere, di battersi per il meglio e di costruire qualche cosa di duraturo. Contro i tanti, troppi, e a tutti i livelli, che non hanno rispetto per gli altri e per la comunità in cui vivono, bisogna cominciare a dire NO.
Quale cultura civica può avere una società che non educa i bambini, non addestra gli adolescenti, non mette alla prova i giovani e, insomma, rifiuta di imparare e di insegnare? Quale cultura civica è possibile esprimere in una società che esalta la famiglia in toni retorici, ma la restringe a un solo modello, quello delle coppia unita al fine di procreare e benedetta dal matrimonio (ovviamente cattolico) e nello stesso tempo ne pratica gli aspetti più retrogradi, asfissianti e protettivi?
Della cultura civica, che appare tanto modesta tra noi italiani, vale la pena di parlare perché la società non può sollevarsi dal ristagno se non si provvede di coesione (lo ripete, piuttosto solitario, Napolitano, e da parecchio tempo) e se ogni italiano non ha una buona coscienza di sé e della comunità della quale fa parte (ma la comunità non può limitarsi alla sola famiglia, chiusa nell’appartamento di proprietà, isolata nella seconda casa fuori città, delimitata dai conti correnti, dalle automobili, dai rispettivi garage e poco altro).
Siamo invece fortissimi in cultura paranoica, quella cioè che assegna sempre a qualcun altro la colpa dei guai che ci affliggono, come persone e come nazione. Di questa inclinazione alla cultura paranoica stiamo vedendo i risultati, giorno dopo giorno: bambini pestiferi (bisognosi di un SOS Tata televisivo, come i rispettivi genitori), adolescenti fragili e confusi (più di quanto non sia già fisiologico nel transito dall’infanzia all’età adulta), genitori onnipotenti, invadenti, scontenti di sé quanto della prole. Poiché il motto dei paranoici è “piove, governo ladro”, il fatto che le nuove generazioni si dimostrino così poco dinamiche e promettenti non li riguarda. Come conseguenza, proliferano i pessimi cittadini, che sono tutti anche pessime persone.
La cultura civica si rafforza a partire dall’educazione, in casa, a scuola, in pubblico. Ma chi educa i bambini e i giovani? Nel paese che ha prodotto Maria Montessori (e che l’ha ripudiata, perché di intenti troppo liberali per essere accettati dal fascismo prima della seconda guerra mondiale, dalla chiesa cattolica e dal marxismo nella seconda metà del Novecento) l’educazione è un’opzione, non un obbligo sacrosanto – e un’appassionante esperienza dello spirito – degli adulti nei confronti dei più giovani.
A guardare bene, nell’Italia del ventunesimo secolo sembra tuttora molto più apprezzato e remunerativo il nascere “bene”. Studiare, faticare, riflettere, trovare la propria strada tenendo conto non soltanto dei propri bisogni personali ma anche di quelli della comunità, pare la strada prediletta dagli sciocchi. I furbi la sanno più lunga, si sente dire di solito. E’ vero l’esatto contrario.
Maria Montessori aveva capito già alla fine dell’Ottocento che la società moderna è salda quando è un insieme di persone libere, capaci di scegliere, di battersi per il meglio e di costruire qualche cosa di duraturo. Questo si impara da bambini, affrontando le avversità, e lavorando duro. I cardini del metodo montessoriano sono il lavoro e l’indipendenza, non le condizioni della nascita. In altre parole, non il sangue e la terra, ma la mente e il cuore.
Prendiamo, ad esempio, il caso di un paio di famiglie molto in vista o, come usava dire Franca Valeri quando ancora il pubblico italiano aveva voglia di ridere non soltanto di trite battute e di banali sconcezze, di famiglie “suissimo”, i Berlusconi e i Bossi. Può darsi che ancora qualcuno desideri essere ricco come Silvio Berlusconi e venerato come Umberto Bossi, ma alzi la mano chi vorrebbe avere figli come quelli dei due capi popolo, ora in declino.
Nei due casi, il sangue e la terra sono tutto, la mente e il cuore nulla. Abbiamo visto e stravisto, nel corso dell’ultimo ventennio, gli eredi Berlusconi immortalati nelle loro feste, sulle loro barche, li abbiamo visti in posa come eredi al trono, in una triste, polverosa e volgare ripetizione della grande iconografia regale e in uno sfiorito ripetersi della tradizione da rotocalco che, almeno, negli anni Cinquanta, sulle testate gloriose di Oggi o Gente, aveva il nobile compito di tenere lontano il socialismo reale e scongiurare l’analfabetismo di ritorno. Gli eredi Berlusconi sono capitani d’industria per merito biologico. Non sono gli unici nel panorama nazionale di un’economia che, infatti, è traballante.
Nel panorama nazionale di una politica altrettanto traballante, l’erede Bossi presenzia (o meglio: presenziava; ma a volte ritornano), anche lui, per merito di sangue. Nel caso leghista è messo in scena non il gusto volgare dei nuovi ricchi, ma l’imbarazzante commercio da eterni poveri di titoli di studio e l’arraffo di banconote per la benzina e le piccole spese. Per un ammontare che sarebbe sufficiente a mantenere diversi nuclei familiari nel decoro.
Non c’è posto per l’educazione nell’ambiente del “lei non sa chi sono io”. Il quale, beninteso, non affligge soltanto la destra politica: è tradizione della sinistra di candidare vedove, orfani, mogli e fidi amici, non importa con quali competenze. Nessuno degli eredi del “lei non sa chi sono io” ha imparato a consolarsi, a ottenere ciò che desidera conquistandolo da sé, a fissare un traguardo e raggiungerlo con fatica e studio, ad apprendere dai propri errori e a fare tesoro di ogni esperienza, buona o cattiva.
L’erba voglio cresceva nel loro giardino in tutte le stagioni; tutto si può ottenere con il denaro e il potere: una faccia nuova fornita dal chirurgo, un’auto costosa, un diploma, tutto era a portata nelle loro case, concesso da genitori dissennati. Sarebbero fatti loro, se il potere acquisito per l’insipienza di troppi italiani, non avesse fatto dilagare la convinzione che così si fa, che l’educazione è facoltativa e il sangue è quel che conta. Sotto la crosta sottile dei politici prepotenti, cultori della terra e del sangue, esiste per fortuna una grande popolazione che insiste con pervicacia a educare i ragazzi, a usare in famiglia e in pubblico un “per favore”, un “grazie”, a distinguere il bene dal male, ad affrontare la vita e non a farsela regalare. Cara grande popolazione, ascolta questo appello: fermiamoli. Basta poco. Come fanno i genitori saggi con i piccoli riottosi, bisogna dire di no a chi passa davanti in coda, a chi butta la lattina nel prato, a chi pretende un sette non avendo fatto i compiti. E a chi succhia il denaro dei contribuenti, sotto qualisasi forma e con il pretesto della democrazia, per abbandonarsi al proprio comodo.