di Salvatore Aprea –
Al grido di “Occupiamo George” gli Indignados americani hanno denunciato la disparità economica, cioè che l’1% degli americani controlla oltre un terzo della ricchezza lasciando più dell’ 80% con solo un quinto di essa. In quasi trent’anni i governi americani hanno fatto sempre meno per favorire un’equa distribuzione della ricchezza. Occupy Wall street è l’espressione finora più significativa e pacifica di un’avversione diffusa al capitalismo. Due terzi degli americani simpatizzano con Occupy Wall Street e ne approvano lo slogan principale: “Tax the Rich”, tassiamo i ricchi.
Non lasciatevi trarre in inganno dal titolo, gli Indignados americani non sono impazziti né hanno deciso di dare libero sfogo ad occupazioni violente dopo essere stati “temporaneamente sfrattati” da Zuccotti Park – nel cuore della piazza finanziaria più globale che ci sia. Semplicemente, il nome del primo presidente degli Stati Uniti, George Washington, ha dato lo spunto per uno degli slogan più popolari all’interno della protesta newyorkese e non solo: “Occupiamo George”. La spiegazione è elementare. Il volto di Washington, popolarissimo perché stampato sulle banconote da un dollaro, è quello che due designer di San Francisco hanno voluto “occupare” con delle frasi ispirate alla protesta. I due “occupanti di moneta” hanno iniziato a stampare biglietti da un dollaro con scritte rosse del tipo “la disparità della ricchezza – 400 super ricchi e 150 milioni in fondo a tutto”. Le scritte in rosso sulle banconote, fra l’altro, derivano da dati precisi che sono reperibili sul sito che sostiene l’iniziativa, www.occupygeorge.com, dove si ricorda, ad esempio, come l’1% degli americani controlli oltre un terzo della ricchezza lasciando più dell’ 80% con solo un quinto di essa; il che, tradotto in altri numeri, significa che 400 americani controllano da soli l’intera ricchezza disponibile alla metà del resto della popolazione. Cifre che sono confermate da uno studio elaborato dal Congressional Budget Office il quale sottolinea che, fra il 1979 e il 2007, l’ 1% degli americani con il reddito più alto ha visto aumentare il proprio patrimonio del 275% circa, laddove il 60% degli appartenenti alla classe media ha goduto di un incremento del 40% soltanto. In sostanza, l’ennesima conferma, per giunta governativa, che in quasi trent’anni i governi americani hanno fatto sempre meno per favorire un’equa distribuzione della ricchezza e che le proteste dei ragazzi di Zuccotti Park non sono per ragioni inesistenti ma per cause che rischiano davvero di sgretolare la classe media del paese. Nonostante tutto, la protesta – escludendo alcuni episodi come quelli di Oakland in California, dove la polizia ha fatto ampio uso di lacrimogeni, e di Atlanta in Georgia, dove sono stati effettuati numerosi arresti – è stata finora pacifica. In proposito riportiamo di seguito lo stralcio dell’articolo “Obama al bivio di Wall Street” del giornalista statunitense David Reff, pubblicato dall’Internazionale.
Le proteste si allargano sempre più
Nel complesso le proteste sono state sorprendentemente pacifiche e mentre molti dei giovani di questo movimento sono indistinguibili, per il loro aspetto, dai militanti noglobal di tutta l’Europa occidentale, oggi Lower Manhattan è lontanissima dalla Seattle del 1999 o dalla Genova del 2001. Se violenza c’è stata, è venuta dalla polizia, che si è comportata come se i manifestanti fossero una minaccia per lo stato e andassero tenuti strettamente sotto controllo. Ogni volta che parte un corteo, viene affiancato e arginato da file di agenti delle unità antisommossa, che indossano giacche a vento con sopra scritte come Disorder Control e filmano tutto con i telefonini o le videocamere.
Le strade vengono chiuse per consentire ai cortei di sfilare, ma i manifestanti sono costretti a usare solo una corsia, mentre le altre due e il marciapiede sono occupati dalle forze dell’ordine. Perfino al culmine delle proteste contro la guerra del Vietnam l’atteggiamento delle autorità di New York era più misurato. Occupy Wall street è l’espressione finora più significativa di un’avversione diffusa al capitalismo che, negli Stati Uniti, non si è mai manifestata neanche dopo che la crisi finanziaria del 2008 ha rivelato agli americani che Wall street pensava solo a saccheggiare sistematicamente l’economia. Ma la reazione a queste proteste mostra chiaramente la portata dei danni inflitti ai nostri diritti di cittadini dopo l’11 settembre.
Per il momento né gli arresti di massa né il rancore dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco multimilionario Michael Bloomberg, né l’apparente decisione dei mezzi di comunicazione – compresi giornali di solito progressisti come il New York Times – di minimizzarne la portata, hanno impedito che le proteste si allargassero sempre più. Resta da vedere se questo movimento, ancora embrionale, darà vita a qualcosa di più solido e duraturo, alla faccia di ciò che resta della sinistra americana, che continua a scambiare i fari di un treno in arrivo per la luce in fondo al tunnel, e continua a cullare la speranza di veder diventare il movimento una specie di Tea party di sinistra.
Una cosa è chiara: più le manifestazioni crescono, e più diventa scomoda la posizione del presidente Obama, pronto a cominciare la campagna per la rielezione. Il suo successo del 2008 si deve in parte al sostegno ricevuto da Wall street. Oggi la comunità finanziaria gli è ostile ed è pronta a sostenere qualsiasi candidato repubblicano minimamente credibile. Da quarant’anni almeno la tragedia del Partito democratico è di avere una base elettorale di centrosinistra (almeno secondo gli standard statunitensi), ma di dipendere dai soldi di Wall street e di Hollywood. I candidati democratici che sono riusciti a conquistare la presidenza hanno sempre dissimulato questa contraddizione almeno fino all’elezione: dopo, di solito, si sono spostati sulle posizioni di Wall street, come ha fatto lo stesso Obama, nonostante ciò che pensa di lui il mondo dell’alta finanza.
La principale richiesta del movimento: equità sociale
Gli scettici, gli avversari e il sindaco Michael Bloomberg, aspettavano l’autunno sperando che facesse piazza pulita, invece i primi freddi sono arrivati, ma dopo due mesi di resistenza dall’inizio della protesta Occupy Wall Street gode di ottima salute. Per parare l’offensiva del Generale Autunno in molti si sono attivati, compresi un “farmers’ market”, che fornisce ai ragazzi ogni giorno frutta e verdura fresca, e uno chef dell’hotel Sheraton che serve piatti caldi tutti i giorni. Nella sua breve vita il movimento è cresciuto in tutti i sensi. I militanti hanno a disposizione 3.000 libri da leggere, donazioni di simpatizzanti, in gestione alla Libreria del Popolo: ci sono l’opera omnia di Marx ed Engels, i libri di Naomi Wolf e perfino quelli di Milton Friedman, padre dell’economia neoliberista. Sono iniziate le riprese per il primo documentario dedicato al movimento, titolo temporaneo “99% – The Occupy Wall Street Collaborative Film”, un’opera a cui stanno lavorando 50 giovani registi che hanno già accumulato 200 ore di filmati.
Bloomberg sembra però non più disposto ad aspettare oltre e ha dato il via ad una operazione notturna di evacuazione degli accampamenti del movimento di protesta contro la grande finanza che si sta diffondendo in tutti gli USA e nel mondo. Ufficialmente il sindaco di New York tramite Twitter ha dichiarato che la misura adottata è temporanea per ripulire l’area, ma i dubbi che non sia così, considerando anche i 100 arresti, sono grandi come una casa. Quale influenza avrà questa mossa sulla solidità del movimento e sui suoi futuri sviluppi lo scopriremo presto. Certo, il movimento finora ha messo in luce dei limiti e tra questi resta quello di non avere una leadership riconosciuta, sebbene abbia una rappresentante politica nella candidata al seggio del Senato nel Massachusetts Elizabeth Warren, ritenuta all’avanguardia nella lotta contro la grande finanza: da giurista di Harvard nel 2008 fu un’accreditata accusatrice di Wall Street, inoltre ha gettato le basi per l’authority di tutela del piccolo risparmiatore.
La destra repubblicana ha capito, tuttavia, che questo movimento è temibile. L’editorialista Frank Bruni sul New York Times qualche settimana fa ha usato l’arma dell’ironia verso il consenso di massa, osservando che tra le star dello spettacolo che sostengono Occupy Wall Street ci sono, oltre ai militanti come Michael Moore e Susan Sarandon, anche un bella fetta di quell’1% di privilegiati contro i quali è nata la protesta. Due sondaggi del Wall Street Journal e del Washington Post, però, hanno rivelato che due terzi degli americani simpatizzano con Occupy Wall Street e ne approvano lo slogan principale: “Tax the Rich”, tassiamo i ricchi. In un paese che idolatra i miliardari creativi come Steve Jobs, un’ampia parte dell’opinione pubblica è indignata contro la vera plutocrazia: la finanza parassitaria. Così, da qualche settimana i toni dei repubblicani, dopo avere marchiato il movimento come un riflusso di “odio contro chi produce ricchezza, invidia sociale e lotta di classe”, sono diventati più cauti. La sinistra americana, invece, dopo quasi cinquant’anni, vede nascere nuovamente un movimento di base che chiede equità sociale. La pentola “made in USA” probabilmente ha appena cominciato a bollire.