di Salvatore Aprea –
I ragazzi di Occupy Wall Street hanno preparato un testo di settanta pagine, complesso e articolato per un mondo in cui gli insegnanti, i bibliotecari, gli ingegneri ferroviari guadagnino di più dei banchieri. Il loro programma economico è un misto di ricette socialiste europee e di slogan contro banche, grandi aziende e super ricchi, ratificato dagli occupanti di Wall Street dopo una serie di passaggi che prevedevano un continuo dibattito. Un testo non rivoluzionario, ma sufficiente a scuotere l’America.
Paul Krugman, Nobel per l’Economia, ha spiegato che la protesta contro il mondo finanziario, accusato di essere una forza politicamente ed economicamente demolitrice della società, è assolutamente giusta, ma sul New York Times ha anche mosso una ragionevole critica al movimento per l’assenza di proposte concrete. Certo, non spetta ai ragazzi di Occupy Wall Street formulare richieste dettagliate, ha scritto il Nobel, ma sarebbe opportuno che il movimento definisse le proprie linee guida verso un possibile cambiamento. I ragazzi di Occupy Wall Street però il loro programma economico, un misto di ricette socialiste europee e di slogan contro banche, grandi aziende e super ricchi, lo stanno preparando. Il documento finale del Nuovo Statuto Economico del Popolo Americano – American People’s New Economic Charter (Apnec) – «espressione della volontà popolare», «creato da e per il 99%», sarà ratificato dagli occupanti di Wall Street dopo una serie di passaggi che prevedono un continuo dibattito e la stesura del testo finale due giorni prima del voto popolare, che potrebbe essere per via telematica oppure durante un’assemblea generale del movimento. La piattaforma dei ragazzi di Zuccotti Park può vantare una partecipazione collettiva e dinamica secondo il principio del “crowd sourcing”, analogamente a Wikipedia. In particolare all’elaborazione del testo hanno partecipato circa cento persone, coordinate da Ralph Meima, direttore di un master in sostenibilità al Marlboro College in Vermont. Il programma prossimo al varo non si può certamente definire rivoluzionario. Le premesse del documento, infatti, chiariscono che «le proposte non devono interferire con l’efficiente funzionamento dell’economia di mercato, dello spostamento dei capitali, degli incentivi agli inventori, agli imprenditori, ai consumatori, ma a condizione che siano garantiti i servizi sociali minimi e vere opportunità per il popolo americano». Il testo però è sufficiente a scuotere l’America.
Dalla Tobin Tax all’istruzione
I punti del programma sono 19, con l’aggiunta di 16 raccomandazioni. I manifestanti chiedono di fermare gli aiuti economici alle istituzioni finanziarie, nazionalizzare la Federal Reserve rendendola trasparente per i cittadini, ristrutturare il sistema di tassazione che oggi in America premia i redditi da capitale e penalizza quelli da lavoro, introdurre una Tobin Tax su tutte le transazioni finanziarie – con esclusione degli assegni e dei bonifici – , aprire tutte le frontiere, investire mille miliardi di dollari in infrastrutture, chiudere l’era dei combustibili fossili e del nucleare per puntare esclusivamente sull’energia geotermica, idroelettrica ed eolica. Tra le proposte ci sono anche tariffe, dazi e maggiori tasse per evitare che le aziende americane vadano all’estero a sfruttare il costo del lavoro più basso, il divieto di privatizzazione dell’acqua e il sostegno al servizio pubblico giornalistico con soldi federali. Dai manifestanti, inoltre, c’è un no deciso al porto d’armi, alle pubblicità farmaceutiche, agli spot diretti ai bambini e ai contributi elettorali da parte di associazioni, lasciando ai singoli cittadini la possibilità di farlo fino ad un massimo di mille dollari. Sì, invece, a incentivi destinati alle cooperative, all’aumento dei fondi per la scuola pubblica, a un’istruzione finanziata con almeno la metà dei miliardi di dollari spesi per le guerre. Gli Indignados “made in USA” sanno bene che tagliare il bilancio del Pentagono indebolirebbe il Paese, costringerebbe al collasso il complesso militare industriale e affonderebbe l’economia. «Ma almeno saremo ben istruiti», si legge nel testo. Per i ragazzi tutta l’istruzione deve essere gratuita e qualche redattore del testo ha anche proposto di assicurare a ogni studente istruito in America il superamento degli studi e un lavoro adeguato. Il movimento, inoltre, chiede che la riforma sanitaria di Obama sia abrogata e sostituita con un sistema pubblico come quello europeo, mentre sugli Ogm – un altro «strumento velenoso creato dall’1% per tenere sotto controllo il 99% degli americani» – non ha ancora deciso se proporre di renderli illegali oppure limitarsi a imporre un’etichetta che evidenzi l’origine modificata del prodotto.
Sul piano politico-istituzionale le richieste sono che le istituzioni finanziarie internazionali, FMI e Banca Mondiale, siano democratizzate con il sistema “un Paese, un voto”, che un emendamento costituzionale consenta le coalizioni di governo smettendola con il principio “chi vince prende tutto” e che sia possibile indagare sui casi di corruzione, oggi affrontati solo con “inchieste interne” al Congresso.
OWS è forte ma deve affinare la strategia
A ben vedere la carne al fuoco è tanta, probabilmente troppa e ancora cruda ovvero gli obiettivi su cui concentrarsi per renderli concreti non sono ancora ben definiti. Tra le tante proposte, ad esempio, meriterebbe un approfondimento sulle possibilità di applicazione della Tobin Tax – dal nome dello scomparso premio Nobel dell’economia che profetizzava la necessità di mettere un “granello di sabbia” nell’ingranaggio dei mercati finanziari – , cioè l’imposizione di un prelievo fiscale su ogni transazione finanziaria. L’impatto sul risparmiatore sarebbe insignificante poiché l’aliquota sarebbe molto bassa, ma essendo una tassa che scatta ad ogni operazione, il suo costo sarebbe invece tutt’altro che trascurabile per i colossi delle transazioni ad alta frequenza. E’ forse l’unico caso di una tassa che piacerebbe “al 99%”, ma l’1% che ne blocca l’approvazione ha dimostrato di avere un potere di veto finora insuperabile. Il dibattito sulla Tobin Tax, infatti, finisce sempre su un binario morto a causa del veto anglo-americano, cioè dei due paesi che hanno le principali piazze finanziarie del mondo.
Insomma, sul programma gli attivisti USA hanno bisogno ancora di affinare la propria strategia, analogamente a quella che, ad esempio, hanno efficacemente messo in atto sul web, a cui oltreoceano è stato dato il nome di “anti-popular social media strategy”. Quello che il commentatore della CNN Douglas Rushkoff ha definito “il primo vero movimento Americano dell’era di internet” ha anzitutto una presenza sui social network “tradizionali” per arrivare a un pubblico vasto. I numeri raggiunti sono impressionanti: solo nel primo mese di mobilitazione l’account Twitter [@occupywallst] ha avuto oltre 85.000 follower, mentre la pagina “Occupy Wall Street” di Facebook ha superato i 250.000 fan. Inoltre, per sfuggire alle maglie della censura sui social network, gli attivisti di Occupy Wall Street hanno sperimentato nuovi media. Hanno scelto di affiancare ai media tradizionali altri mezzi finora poco utilizzati, fino ad arrivare a nuovi strumenti creati per l’occasione, come il portale “New York City General Assembly”, un nuovo social network che ha lo scopo di riprodurre sul web gli incontri e i dibattiti che avvengono quotidianamente tra i manifestanti, consentendo la partecipazione anche a chi non può raggiungere fisicamente Zuccotti Park. Tra gli strumenti poco popolari, il più utilizzato è “Vibe”, un’applicazione per iPhone che consente di scambiare messaggi con gli altri utenti del servizio, mantenendo l’anonimato e senza bisogno di alcuna registrazione preventiva. Gli utenti devono solo stabilire il raggio di diffusione del messaggio desiderato (da poche centinaia di metri fino all’intera superficie terrestre) e il suo periodo di “vita” (da 15 minuti a sempre). Scaduto il tempo programmato, il messaggio scompare, senza lasciare traccia. Proprio Vibe è stato utilizzato dagli attivisti di Occupy Wall Street a fine settembre per raccontare i primi arresti e denunciare i maltrattamenti della polizia, senza il rischio di venire intercettati.
Il movimento, comunque, gode del consenso popolare anche al di là di internet e, dopo quella di Nancy Pelosi e Hillary Clinton, ha incassato anche l’approvazione del presidente che potrebbe in questo modo riconquistare le simpatie dei liberali di sinistra, decisamente critici per quanto accade a Washington. Qualche settimana fa Tim Geithner, segretario al Tesoro, ha dichiarato in un’intervista alla Cnbc che “nuove azioni per regolamentare Wall Street stanno arrivando” e David Pouffle, consigliere numero uno del presidente, parlando alla Cbs, ha ribadito che “il presidente Obama sta combattendo per varare le stesse riforme che sono chieste dal movimento Occupy Wall Street”. Insomma, anche se sfrattato il movimento ha le carte in regola per proseguire nella propria protesta, dimostrando di non volersi far zittire facilmente. «Siamo di nuovo qui e cresciamo – hanno fatto sapere diversi dimostranti sgomberati che hanno cercato di occupare la vicina Foley Square –, non si può far sgomberare un’idea il cui momento è venuto». A Zuccotti Park le tende non ci sono più, ma la discussione su una protesta ormai diventata mondiale è divenuta più attuale di prima.