di Rossella Aprea –
E’ di queste ore l’ennesimo appello del Capo dello Stato ” ad una migliore giustizia e a una migliore legislazione”, forte e continuo in questi mesi il suo richiamo alla Costituzione repubblicana e alla necessità di consolidarne le basi, gli equilibri e le garanzie che essa ha fondato”. Questa insistenza è un preoccupante segnale di pericolo per la nostra democrazia. Nella Costituzione è tracciata e contenuta la direzione che dobbiamo seguire per realizzare un Paese migliore. La Costituzione è un programma, un ideale, una speranza, l’impegno di un lavoro da compiere, diceva Piero Calamandrei, senza questo impegno, senza la partecipazione attiva dei cittadini, resta un pezzo di carta e la democrazia non vivrà a lungo.
E’ di queste ore l’ennesimo appello del Capo dello Stato “ad una migliore giustizia e a una migliore legislazione”. Mai come in questo periodo, afferma Napolitano, “si avverte un acuto bisogno di più cultura delle istituzioni, di più senso delle istituzioni, di più attenzione all’esercizio delle funzioni dello Stato e alle condizioni in cui versano le sue strutture portanti”.
Esplicito è il riferimento ad un sensibile scadimento del processo di formazione delle leggi, che appare in diverse occasioni confuso, contradditorio, tecnicamente difettoso.
Il richiamo, poi, è nuovamente alla Costituzione repubblicana e alla necessità di consolidarne le basi, gli equilibri e le garanzie che essa ha fondato”. Per il Capo dello Stato, è sempre dalla Costituzione che bisogna partire per poter procedere a qualsivoglia riforma da adottare nell’interesse generale.
L’insistenza con cui il presidente Napolitano lancia da alcuni mesi a questa parte allarmati richiami al rispetto delle Istituzioni e alla difesa della Costituzione, è un preoccupante segnale del pericolo che sta correndo la nostra democrazia.
Nella Costituzione è tracciata e contenuta la direzione che dobbiamo seguire per realizzare un Paese migliore.
Lo diceva con estrema lucidità e chiarezza oltre cinquant’anni fa Piero Calamandrei: “la costituzione è un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro da compiere.” E il dettato di questo programma è espresso chiaramente nell’art. 3 della Costituzione «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». “È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo – «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» – corrisponderà alla realtà. ” Questo sosteneva Calamandrei nel 1955 nel suo ormai famoso discorso agli studenti di Milano. Oggi questo processo si è arrestato, questi diritti stanno pericolosamente arretrando. Masse di giovani senza lavoro e senza futuro sopravvivono in questo Paese. Dov’è la democrazia, che la Costituzione intendeva attuare?
Di questo sembra avere piena consapevolezza il Capo dello Stato, che, pertanto, ravvisa negli attacchi alla Costituzione e alle Istituzioni la perdita di orientamento, e coglie la minaccia che lo sbandamento del Governo e della classe politica attuale possa allontanarci, come sta già avvenendo, dalla via del progresso, della democrazia, della libertà, della giustizia.
Secondo Calamandrei nella Costituzione vi era sì un’inevitabile tensione polemica contro il passato, contro una pesante eredità che il fascismo aveva portato alle estreme conseguenze, ma anche una chiara polemica contro il presente “contro la società italiana quale essa è, ancora così lontana da quella società che la Costituzione pone l’obbligo di creare …contro tutto quanto di inattuato, di distorto, di socialmente e giuridicamente superato esiste nel nostro ordinamento e nel nostro sistema di amministrazione della giustizia”. Marco Ramat, insigne giurista, riprendeva le considerazioni di Calamandrei e sul numero 6-7 de la rivista “Il Ponte” del luglio 1968 ricordava quanto si fosse ancora lontani dalla “democrazia reale” ed esprimeva con forza un richiamo allo spirito della Costituzione, che oggi sembra ancora tristemente attuale. Questo è lo spirito della Costituzione: “una specie di promessa rivoluzione nella legalità”. Per Calamandrei, infatti, la nostra “non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire”. E’ nella Costituzione che sono contenuti i nostri princìpi, i valori su cui poggia il nostro Paese: una repubblica democratica fondata sul lavoro. Dove la libertà personale è inviolabile. Dove è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà. Dove il domicilio è inviolabile. Dove la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono al pari inviolabili. Dove i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Dove tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione senza temere di commettere un delitto di vilipendio nei confronti di questa o quella autorità “costituita” o di essere denunciati per offesa a un capo di Stato, magari dittatore. La “Costituzione inattuata” di Calamandrei resta ancora tale: un programma, un ideale, una speranza, l’impegno di un lavoro da compiere. Un programma, però, da cui ci stiamo allontanando ogni giorno di più. La democrazia non vive a lungo senza la partecipazione attiva delle masse. “…la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica…”
E la partecipazione prevede anche la manifestazione del dissenso. E secondo un altro giurista della corrente di Magistratura democratica, Antonio Porcella, alla fine degli anni Sessanta, “quando il dissenso si estende e si generalizza e abbandona le forme tradizionali, discorsive, la cosa più facile e più semplice è la repressione; la sola ragionevole, democratica, è la ricerca delle cause di questi dissensi e la volontà di eliminarle. Questa non è un’opinione politica come un’altra, è una scarna enunciazione del significato giuridico-politico del concetto di democrazia che, a partire dalla Costituzione, informa il nostro ordinamento.” Questo vuol dire che non si può e non si deve impedire ai cittadini di manifestare, ma si deve cercare di capire da quali spinte, da quali motivazioni traggono origine anche certe manifestazioni violente, perché ancora Calamandrei ci ricorda che “La costituzione… è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. È la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo. .. questa è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in piú, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo…..In questa costituzione.. c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lí, o giovani, col pensiero perché lí è nata la nostra costituzione.”