di Rossella Aprea –
Nella bolgia politico-mediatica delle mille questioni “particolari”
In uno scenario politico ed economico decisamente avvilente, allo scorcio di un’estate che definire insolita è quasi un segno di benevolenza, un timore acquista sempre più consistenza, e cioè che in questa bolgia politico-mediatica ci stia sfuggendo la sostanza degli eventi dell’ultimo mese, ci si stia perdendo, trascinati da un’imperiosa corrente alimentata dai mille rivoli delle questioni “particulari”: dei comuni e delle province, dei pensionati, dei dipendenti pubblici, degli imprenditori, dei lavoratori onesti, dei più ricchi, dei disabili, degli evasori scudati, dei parlamentari e dei loro costi, persino delle società di calcio e dei calciatori.
Il richiamo all’espressione guicciardiniana “particulare” ci sembra quanto mai appropriato in questo momento storico, in un Paese che ha fatto dell’interesse individuale un codice di vita e che in questi giorni sta dando prova di quanto questo sia ancora, e forse oggi ancor di più, indiscutibilmente vero. Non c’è principio, né vincolo religioso, etico, sociale e politico che tenga uniti gli italiani in questo momento grave per il Paese.
Nessuna virtù a cui fare appello, nessuna generosità da parte di chi disporrebbe dei mezzi per contribuire alla salvezza di tutti, nessun patriottismo a cui attingere, nessun sacrificio, nessun disinteresse. Oltre cinquecento anni di storia non hanno mutato il carattere e lo spirito di un popolo con una mentalità ancora municipalistica e meschina, dominata da ordini professionali e caste inespugnabili.
E’ una rappresentazione avvilente, penosa, indegna di una nazione moderna, di un Paese democratico maturo e responsabile, di un “Popolo” vero.
“Ciascuno pensava al proprio particulare sì che nella tempesta comune naufragarono tutti”, questo è lo scenario che sembra profilarsi oggi nuovamente per noi e che Guicciardini aveva descritto magistralmente, oltre cinquecento anni fa, nei suoi saggi storici:”Historiae fiorentinae” e i “Ricordi”.
Non abbiamo imparato nulla, dunque, neanche dal nostro stesso passato, da una storia che per filo e per segno ci indica gli errori, le trame, gli intrighi, le simulazioni, gli inganni, che trascinano alla rovina.
Eppure in Francia, di fronte alla crisi, alla stessa crisi, seppur meno grave e imminente della nostra, è notizia di qualche giorno fa che i ricchi abbiano chiesto di pagare più tasse, rendendosi disponibili a versare un “contributo eccezionale”, motivandolo in questo modo: “Il deficit di bilancio e le prospettive di peggioramento del debito pubblico minacciano il futuro della Francia e dell’Europa, e quando il governo chiede a tutti uno sforzo di solidarietà, ci sembra di essere tenuti a contribuire”. Il bene della Nazione, dunque, non si discute. I suoi esponenti più ricchi si sentono cittadini di questa Nazione e sono pronti a fare quella che ritengono “per equità” la loro parte.
In Italia si litiga come i capponi di Renzo, mentre vengono trascinati verso una prevedibile fine, e si grida allo scandalo per il “contributo di solidarietà”, inserito nella manovra finanziaria in vigore per decreto legge e destinato a essere cassato. La presidente degli industriali italiani, Emma Marcegaglia, sostiene, intervistata dal quotidiano Repubblica che: “In Italia la situazione è completamente diversa, da noi una tassa di quel tipo servirebbe soltanto a far pagare di più chi le tasse le paga già con un prelievo che complessivamente sfiora il 50%”,
Probabilmente è vero, ma è proprio questo il punto. Se vogliamo arrivare alla sostanza dei problemi, allora dobbiamo andare oltre gli interessi “particulari” e le affermazioni di esponenti politici e imprenditori che ce le stanno facendo perdere di vista.
La “sostanza” dei rimedi della crisi: evasione fiscale e questione morale
Tutti volutamente confondono causa ed effetto, riducono il generale al particolare, distraggono l’attenzione dalle questioni fondamentali che sono alla base del nostro debito pubblico e che nell’agenda politica in queste ore dovrebbero essere al primo posto con un consenso unanime dell’intero arco parlamentare: su tutte l’evasione fiscale e la questione morale, rappresentata dal dilagante fenomeno della corruzione.
Entrambe costituiscono due arterie aperte e zampillanti denaro, che nessuno si decide a chiudere, ponendole all’attenzione di tutti e intervenendo immediatamente con misure serie e rigorose. La scena paradossale a cui si assiste, invece, è quella di una pletora di azzeccarbugli e mediconzoli al capezzale di un malato agonizzante (l’Italia) che perde sangue, i quali passano ore a discutere su cavilli giuridici e trattamenti da praticare, per trasfondere qualche stilla di sangue senza pensare, innanzitutto, di bloccarne la perdita.
Basterebbe considerare che l’evasione fiscale si aggira sui 120 miliardi all’anno e che la corruzione, secondo la Corte dei conti, ne drena altri 60 circa all’anno*. Non ci sarebbe bisogno di “manovre” per spillare altro denaro, ma di “misure” per recuperare quello che si perde e quello che si spreca.
Dell’evasione in Italia si sa praticamente tutto: l’ammontare, la distribuzione territoriale, l’incidenza rispetto alle diverse tipologie di reddito, ma la conoscenza del fenomeno, premessa necessaria per intervenire efficacemente, non è sufficiente a sanare il problema per il prevalere delle ragioni politiche, le stesse a cui assistiamo anche in questi giorni, e che ostacolano qualsiasi iniziativa decisa contro l’evasione. Non si possono toccare numerose categorie, spesso influenti, di contribuenti il cui peso elettorale potrebbe essere decisivo soprattutto in una situazione di bipolarismo. E’ vero che l’evasione è un fenomeno diffuso anche fuori dal nostro Paese, ma con la differenza che da noi l’impatto economico delle somme evase sulle entrate dello Stato risulta il doppio o il triplo di quello degli altri paesi Ocse.
Lo stesso discorso vale anche per il tema della corruzione, che alcuni economisti come Marco Arnone e Eleni Iliopulos hanno dimostrato nel loro libro The cost of corruption (Il costo della corruzione) accompagnarsi ad altri fenomeni paralleli: mancanza di trasparenza, controllo dei media, progressiva scomparsa dello stato di diritto, trattamento discriminatorio nei confronti delle donne e mancata crescita del PIL.
Un fenomeno, quello della corruzione, che anche all’estero produce i suoi effetti devastanti: la vittoria, in questi giorni, della protesta pacifica anticorruzione di Anne Hazari in India, scatenatasi a causa della collusione tra grandi gruppi industriali, giornalisti, ministri, parlamentari e politici del partito nazionalista, ne è una chiara testimonianza
In Italia la questione viene semplicemente ignorata. Eppure non a caso, proprio in questa situazione di crisi, qualche giorno fa, il cardinal Bagnasco ha indirizzato un severo monito alle istituzioni e a tutto il mondo della politica continuamente scosso da scandali. “La questione morale in politica – come in tutti gli altri ambiti del vivere pubblico e privato – è grave e urgente e non riguarda solo le persone ma anche le strutture e gli ordinamenti… si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti…. Cambiare è possibile perché è la gente che lo chiede e perché è giusto”.
Già in passato, in un altro periodo di crisi, all’inizio degli anni Ottanta, il tema era stato portato all’attenzione pubblica da Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, e fiero sostenitore della responsabilità della degenerazione della politica nella condizione di malessere del Paese.
“La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano”.
E’ storia vecchia, quindi, di decenni, secoli, e non ancora affrontata, come sosteneva il De Sanctis: “Non c’è spettacolo più miserevole di tanta impotenza e fiacchezza in tanta saviezza. La razza italiana non è ancora sanata da questo marchio che ne impedisce la storia. L’uomo del Guicciardini lo incontri ancora ad ogni passo; ci impedisce la via se non avremo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza”.
*Si veda per un approfondimento l’interessante articolo sul blog di Repubblica curato da Alexander Stille “Il costo della corruzione” del 7 aprile 2011