di Paolo Deganello –
“Non è il lavoro dei consumatori sapere quello di cui hanno bisogno”. Il consumatore non deve saper desiderare, sono gli inventori di merci che sanno anticipare e promuovere i suoi desideri. Con le loro invenzioni i designer devono saperli conquistare ed indurli al consumo fino a farli “godere” dell’acquisto delle merci. Per incoraggiare il consumo, però, non basta, bisogna anche creare prodotti che abbiano una obsolescenza rapida. Non importa quante risorse si sprechino, quanti rifiuti si producano, quanti suicidi si provochino tra coloro che li producono, conta il desiderio oltre il bisogno e la forte identificazione col marchio.
Diceva l’Amministratore delegato e fondatore della Apple, Steve Jobs: “sono sicuro che i giorni piú brillanti e innovativi della Apple sono ancora davanti a noi”. Con queste parole pubblicate in una miriade di giornali, Steve Jobs creatore dal nulla, manager, e inventore in un garage di un’azienda che ha contribuito ” a cambiare la storia dell’umanità” annunciava al suo vice il passaggio di consegne. Non esagererei. Ci vuol ben altro per cambiare la storia dell’umanità, ma questa è l’enfasi, la retorica che accompagna il consenso sulla merce. In Italia ” Steve Jobs, l’uomo che ha inventato il futuro” edito da Hoepli nel maggio 2011 ha gia venduto 60.000 copie. Ma siamo proprio sicuri che è un gran bel futuro? A chi gli chiedeva quale fosse stata la ricerca di marketing preliminare al lancio dell’iPad Jobs rispondeva “Nessuna. Non è il lavoro dei consumatori sapere quello di cui hanno bisogno”. Questa affermazione equivale a dire che il consumatore non deve saper desiderare, e che siamo noi inventori di merci che sappiamo anticipare e promuovere il nascere dei suoi desideri ed è con le nostre invenzioni che dobbiamo saperli conquistare ed indurre al consumo fino a farli “godere” dell’acquisto delle nostre merci.
Siamo noi progettisti che dobbiamo riuscire a progettare, a costruire e ben rappresentare il suo desiderio. Potrebbe averla detta Henry Ford nel 1910, presentando la sua Ford T, questa frase o analogamente: “ho aumentato talmente la produttività del lavoro da permettermi di produrre un auto seppur sempre nera, la più uguale per tutti, che neanche i miei operai sapevano che di questo avevano bisogno e ora lavorano, con i ritmi sempre più forsennati della catena, come cinesi, pur di comprarsela.”
Steve Jobs l’inventore di merci di grandissimo successo di mercato e di critica, osannato dall’umanità intera, considerato quel genio che con una piccola azienda che produce meno di dieci prodotti, seppur con molte varianti e continui assillanti aggiornamenti e innovazioni, mantiene il primato della società con più capitalizzazione di Borsa – 361,5 miliardi di dollari contro i 360 della petrolifera Exxon Mobil – forse, comunque, si è montato la testa e sa che ha fatto montare la testa alla sua tribú di consumatori ed estimatori.
Ma cos’è questo futuro che l’Apple ci sta vendendo?
Steve Jobs deve riconoscere che ha usato un designer per contribuire al consenso delle sue merci: Jonathan Ive, designer inglese, diplomato al Royal College of Art che iniziò la collaborazione con Apple nel 1992 a 25 anni, disegnando i computer che per primi portavano il colore dentro e per trasparenza sulla carozzeria dell’iMac.
L’inventore di merci elettroniche, Jobs, e il designer, Ive, hanno costruito attraverso le loro merci quello che si potrebbe definire nell’accezione classica del termine uno Stile, ed è interessante notare che questo stile progettato sulla merce si è poi applicato sui punti vendita: gli Appstore sono la traduzione spaziale ed ambientale della merce Apple. Come del resto è gia avvenuto per i punti vendita Swatch. L’iMac, l’iPhone, l’iPod e l’iPad sono oggetti costosi prodotti in Cina dalla Foxconn, un’immensa impresa di 300.000 dipendenti (con una media di dieci suicidi all’anno). Con una paga media di 130 dollari al mese, questi lavoratori riescono a comprarselo un iPhone?
Forse sì, magari con un pò di straordinari. Sono merci che hanno garantito utili altissimi, le sue azioni dieci anni fa valevano 9 dollari, oggi ne valgono 370.
Le merci Apple utilizzano la logica della massima innovazione tecnologica e una continua progettata obsolescenza rapida. Il desiderio del nuovo prodotto viene sapientemente progettato, ma non col marketing, bensì con la forza dell’invenzione, cui, poi e non prima, si accoda il marketing. E´un’invenzione che costruisce il desiderio e che eccita la bramosia del possesso dell’ultima novità. Si formano le code ad ogni novità Apple.
Apple per prima abolì il floppy disk, poi il lettore cd, ma soprattutto la tastiera riducendo l’interfaccia a pura immagine da sfiorare con un tocco. La Apple è un esempio, un capolavoro dell’obsolescenza rapida, della montagna di scarti che tutta la merce ad obsolescenza rapida genera, dello spreco di risorse che comporta. Non ha mai inventato nuove tecnologie, ma ha saputo sempre usare l’innovazione ancora poco diffusa per inventare la merce attraverso la tecnologia. Questo l’hanno fatto in molti – HP e Samsung ad esempio -, ma Apple ha usato in più il design, la grafica delle sue icone, la naturalità delle operazioni e soprattutto il design.
Il touchscreen esiste dagli anni sessanta, ma l’iPhone utilizzando il touchscreen sul cellulare ha rivoluzionato la merce cellulare. Ha saputo sfruttare nel migliore dei modi le potenzialità che la smaterializzazione della merce, della tecnologia elettronica poteva offrire.
Ha massificato una tecnologia, ma dandogli un prezzo mediamente doppio di quello della concorrenza. E qui grafica e design hanno svolto un ruolo fondamentale e costruito l’immagine esclusiva Apple, lo Stile Apple.
Il passo successivo di questa corsa alla continua obsolescenza del già prodotto non sarà più sfiorare per comandare, usare la merce, ma il parlare alla merce, comandare alla merce il suo fare. Il disegno di una merce da sfiorare è una superficie di vetro fumé che si illumina di icone, ripeto sapientemente disegnate, rifinita nel suo spessore sottilissimo da una cornice di lucido acciaio incassata tra i due vetri con poche minime sottili protuberanze quasi impercettibili alla vista, necessarie all’accensione e poco altro. Non esiste più il pulsante in Apple, se la sua forma è ormai data da un’astrazione dimensionale totale e assoluta, una superficie che si illumina in base all’operatività dell’utente. Si può dire che è il soggetto con il suo uso che fa l’immagine del prodotto di volta in volta diverso, ma è quella forma geometrica elementare, astratta, assoluta senza segni che costituisce la superiorità di Apple.
In questo il design di Apple è ancora un design rigorosamente moderno, pensate alle geometrie elementari dello spremiagrumi Braun di Dieter Rams, bianco di plastica, geometrico con solo una piccolissima scritta – Braun. Elettrico ma senza tasti, è l’uso che lo mette in movimento, il design attraverso l’astrazione geometrica e l’eliminazione delle ridondanze ha il compito di rappresentare l’innovazione tecnologica. Il frullatore gira e fa la spremuta, e trasmette, ieri come oggi, il senso del miracolo della tecnologia, uguale per il mondo intero, bianco o argenteo o nero, ma sempre più non a caso argenteo. Cambia solo nei pochi casi in cui è necessario la lingua, ma sempre di più la lingua è l’americano, costa poco, è quasi per tutti, comunque sempre il doppio della concorrenza perché la globalizzazione che Henry Ford non conosceva, consente che venga prodotto da operai cinesi a 130 dollari al mese.
Quel design che nasceva con Henry Ford nel 1910 e ha fatto scuola con Dieter Rams è sostanzialmente anche il design dell’Apple. La sola grande differenza è che l’operaio Foxconn fa sempre più fatica a comprare la sua opera e ogni tanto, piaccia o no, si suicida.
La scritta Braun è stata sostituita da DESIGNED in California, ASSEMBLED in China. I prodotti Apple, come i capolavori del design, sono sempre di più prodotti esclusivi, comunque oggetti di affezione, come chiede Mendini con cui l’utente Apple fortemente si identifica, come si identificava con la Ford T nera o con il prodotto Braun, ma che non cercano l’alibi dell’arte, ne intraprendono la strada difficile dell’autocostruzione. Anzi la escludono a priori, sono prodotti “perfetti” con un alto valore d’uso che si traduce in valore di scambio. E’ ancora la macchina come voleva il movimento moderno, seppur una macchina elettronica e digitale, ma comunque una “macchina”, il capolavoro che il designer deve disegnare.
Obsolescenza rapida: quante risorse si sprechino, quanti rifiuti si producano, quanti suicidi si provochino tra coloro che lo producono, non importa. Conta il desiderio oltre il bisogno, la forte identificazione col marchio. Io sono uno che usa Apple fino a generare il collezionismo(come per gli orologi Swatch), un unico prodotto per l’umanità intera, deterritorializzazione della produzione ai solo fini di un piu basso costo del lavoro e una maggiore libertà da vincoli contrattuali e sindacali. Questo significa libertà di inquinare e deterritorializzazione della produzione con mobilità a basso costo delle merci. Quanto CO2 questo comporti non è un problema del progetto. L’uso del design quale legittimazione estetica della merce senza l’ausilio dell’arte, la serialità del cinema contro l’artigianalità del teatro, la serialità della merce contro il prodotto artigianale, tutto questo è quanto dal 1910 la società industriale nella sua progressiva evoluzione ci ha proposto in termini sempre più trionfali. Peccato che questo pianeta non ce la faccia più a reggere questa merce! Peccato che forse anche questa umanità che vive sul pianeta non ce la faccia più a reggere questa vita e quel futuro che questa merce comporta! E nella crisi, pur con mille contraddizioni, e con la voglia di non vedere, sempre di più ci si domanda: ma che senso ha continuare a desiderare il possesso e il consumo di queste merci se distruggono il pianeta su cui abitiamo? L’artista Pistoletto ha disegnato un pianeta a forma di mela con una toppa al posto del morso della mela di Apple. Proviamo a guardare insieme queste due immagini. L’arte non è sempre solo legittimazione estetica, alle volte è drammatica domanda e denuncia e così sa far vedere. Il design, allora, può essere prefigurazione, rappresentazione del desiderio di un’altra merce?