di Paolo Deganello –
Una domanda provocatoria, ma per Paolo Deganello la forte speranza che questa fase dolorosa segni l’inizio di un percorso per lo sviluppo di un nuovo modello socio-economico. Infatti, secondo l’autore, la crisi ci salverà da una crescita insostenibile, i cui limiti sono noti da oltre trent’anni senza che nessuno abbia mai deciso di affrontarli. Tutti – politici, sindacati, soggetti economici -, nonostante la crisi, parlano ancora oggi di crescita, continuando a non vedere la realtà, ignorando i dati. E’ ora che nasca una nuova cultura del consumo, non più ritmata dal continuo incremento della produttività, ma dal nostro progetto di vita, libero da condizionamenti economici.
“Nessuna persona sensata può oggi dubitare del fatto che i modelli di sviluppo socio-economici dominanti siano insostenibili rispetto alle capacità del pianeta di supportarci e sopportarci”. Nel 1972, ripeto nel 1972, il primo rapporto al Club di Roma realizzato dal System Dynamics Group del prestigioso Massacchusetts Istitute of Technology (Mit) aveva chiaramente indicato l’insostenibilità del nostro modello di crescita economica. Nell’ultimo rapporto del Club di Roma apparso sui limiti della crescita aggiornato al 2004 si legge: “E’ amaro osservare che l’umanità ha sperperato questi ultimi trent’anni in futili dibattiti e risposte volonterose ma fiacche alla sfida ecologica globale. Non possiamo bloccarci per altri trent’anni. Dobbiamo cambiare molte cose se non vogliamo che nel 21º secolo il superamento dei limiti oggi in atto sfoci nel collasso”.
Sempre dimenticando il rischio del collasso nessun politico al potere, nessun uomo di governo, nessun sindacato di fronte alla crisi rinuncia a promettere la crescita. Da tre decenni i politici cercano inutilmente la disoccupazione attraverso una crescita economica forzata, ma se la produttività del lavoro aumenterà, come ha fatto finora dell’1,5-2% all’anno, il Pil dovrebbe aumentare del 3 o 4% all’anno o anche di più nel lungo periodo per eliminare davvero la disoccupazione. Puntare a tassi di crescita del genere è vano”(1).”La Germania non tira più”, annunciavano tutti i giornali di Europa il 17 agosto 2011. La crescita della locomotiva tedesca nel secondo trimestre 2011 è ad un misero +0,1. Dal 1970 al 2005 la produttività del lavoro è aumentata, ma le ore lavorative sono diminuite dell’86%, si continua a ridurre il costo del lavoro. E’inevitabile che alla continua crescita della capacità produttiva corrisponda oggi, con la riduzione dell’occupazione, con l’incremento delle casse integrazione e del precariato, una scarsa capacità di consumo. Quanti computer, auto, jeans, pomodori dobbiamo consumare per tenere testa a questa continua crescita della produttività e a questo continuo spostamento della ricchezza nella mani di pochi? Ma quanto devono consumare questi pochi per compensare la perdita dei consumi dei molti che si arricchiscono non solo sulle speculazioni finanziarie ma su un costo del lavoro in continua riduzione?
La CO2, una delle sostanze che più misura il degrado ambientale in corso, dal 1972 al 2009 è passata da 320 a quasi 390 parti per milione con un incremento del 22% , nel 2009 con la caduta del Pil mondiale intorno al -2,5% si è avuta nel mondo una riduzione di CO2 del 2% (2). Ci salverà la crisi, con tutte le sofferenze che comporta, la concentrazione dei consumi e lo straconsumo da parte di una minoranza ricchissima. Negli anni Ottanta in Italia si gridava uno slogan”Lavoriamo poco, lavoriamo tutti”. Oggi in Germania c’è chi propone “Il tempo pieno per tutti”, o”Società a mezza giornata” e l’introduzione di nuovi modelli di reddito: ad esempio reddito di base garantito con valorizzazione del lavoro non retribuito per attività di cura per la famiglia, la natura, la società. Un Welfare in parte autogestito collettivamente con una significativa riduzione dei costi e un forte incremento di solidarietà e socializzazione. In questa società a mezza giornata quell’uomo artigiano, di cui parla Richard Sennet, potrebbe finalmente trovare il suo favorevole contesto operativo. Mezza giornata di lavoro garantito e mezza giornata per il “recession design” per la costruzione di quegli oggetti che accompagnano la nostra quotidianità e la nostra vita, duraturi, ben mantenuti e continuamente aggiornati, autocostruiti a nostra immagine e somiglianza, non necessariamente in stile Apple. Mezza giornata e nuova fiscalità, naturalmente che inverta la inumana concentrazione di ricchezza di cui parla Saskia Sassen e Alberto Burgio, carbon tax e più in generale tasse ecologiche, economia solare, nuova cultura del consumo, non più ritmata dal continuo incremento della produttività, ma dal nostro progetto di vita, da una progressiva autonomia dal vincolo economico, una “Blue economy” (3). Beni comuni, l’acqua, la foresta, il territorio, la terra, l’aria, un’altra mobilità possono diventare le nostre merci da disegnare. Ma chi disegnerà per il lusso? Chi disegnerà le Ferrari? Non sarà difficile trovarli i nuovi Jonhatan Ive, una piccola minoranza di designer capaci di identificarsi totalmente con la strategia dell’azienda e insieme alleati ai nuovi artisti del design. I nuovi artisti del design immagineranno pezzi da collezionista, dove come con la poltrona di Proust si cerca di ripensare al prototipo, al modello estetico da dare all’IKEA per la sua massificazione e dequalificazione a prodotto popolare di breve durata.
Quello che in questo lungo percorso cerco di proporre ai giovani è prima di tutto di cercare di capire quali merci e per chi ci chiedono di disegnarle e soprattutto cercare di capire come cambia la merce in tempi di grandi cambiamenti epocali. Poi, di intravedere un nuovo ambito di progetto che non è né IKEA né il Lusso, né il prodotto sofisticato, non ancora di massa e capace di gratificare il bisogno, di marcare una differenza, una tribù. Non una tribù, come è lo stile Apple, quello che recession design, il design che parte dai rifiuti, il progetto con gli scarti , l’economia solare, la Blue economy, la mezza giornata di lavoro garantito, i G.A.S (Gruppi di Acquisto Solidali) e Richard Sennet stanno con fatica, ma con grande determinazione cercando di definire e mettere insieme. Mi sembra questo un progetto entusiasmante, molto più entusiasmante e socialmente gratificante del comunque danaroso lusso, occasione di lavoro per pochi, tutto da rischiare, tutto da inventare, ma già molto ricco di invenzioni. Un progetto capace di produrre una nuova cultura tecnologica che ha nell’economia solare, nel rifiuto dell’obsolescenza rapida a favore di merci durature e beni comuni, nel rifiuto dell’innovazione che nasce dalle esigenze di mercato in nome di una vita, un bisogno di abitare, che sempre più si autocostruisce i suoi strumenti per abitare, continua a perseguire la speranza progettuale di una bellezza sempre più accessibile e partecipata dai più.
Può diventare questo un progetto per una nuova generazione di designer, figli della crisi, e per un’altra scuola?
(1)Wuppertal Institute “Futuro sostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa” a cura di Wolfang Sachs e Marco Morosini, ed. Ambiente, 2011
(2) Tonino Perna “Eventi estremi”Ed.Altraeconomia 2011 pag.84 e 102
(3) Paolo Cacciari,” Recedere dal mercato per uscire dalla crisi Paolo Cacciari, quotidiano”, “Il manifesto”, 7 Agosto 2011 pag.15