di Lapo Berti –
Un pregio la fase, per tanti aspetti confusa e penosa, che stiamo attraversando ce l’ha. La situazione vagamente hobbesiana, in cui tutti sono in lotta contro tutti, ha fatto sì che non ci siano più santuari, luoghi sottratti allo sguardo del pubblico, personaggi esenti da critiche, pezzi della società che riescono a vivere, e a lucrare, nell’oscurità felpata dei tanti separé di cui è fatta la nostra società malata. Dopo aver messo a nudo le malefatte della “casta”, ecco quelle, forse ancora più insidiose, della “supercasta” degli alti burocrati.
Mentre in giro ci si accapiglia intorno alle liberalizzazioni, considerate ora come un esproprio proletario ora come la soluzione di tutti i mali del paese, dopo che per mesi ci si è accaniti, per lo più a ragione, anche se non sono mancati gli eccessi, contro la “casta” dei politici, ecco che ora si alza un altro velo sul corpo martoriato della povera Italia, quello che copre, addirittura, la “supercasta”, ovvero l’oligarchia invisibile dei super burocrati.
Nei giorni scorsi, un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della sera” (20 gennaio), secco e spietato come un colpo di pistola, ha puntato l’attenzione su uno dei gangli del potere che, per essere ignoto ai più, non è per questo meno efficace e pericoloso, anzi: quello dei super burocrati che occupano i piani alti dei palazzi del governo e della pubblica amministrazione. Il fatto di esistere e di agire per lo più nelle segrete stanze in cui non entra mai l’occhio pubblico l’ha messo al riparo da qualsiasi forma di controllo democratico. Non vi è dubbio che sia uno dei cancri da estirpare dal corpo dello stato, se si vuole ridare salute democratica al nostro paese.
Galli della Loggia mette in luce come fra le pieghe e le inefficienze del nostro sistema parlamentare si sia insinuato poco a poco un altro regime: l’oligarchia. Da un lato, ci sono “un Parlamento e un governo democratici, i quali formalmente legiferano e dirigono, ma dall’altro un ceto di oligarchi i quali, dietro le quinte delle istituzioni democratiche e sottratti di fatto a qualunque controllo reale, compiono scelte decisive, governano più o meno a loro piacere settori cruciali, gestiscono quote enormi di risorse e di potere: essendo tentati spesso e volentieri di abusarne a fini personali. I frequenti casi scoperti negli ultimi anni e nelle ultime settimane hanno aperto squarci inquietanti su tale realtà”.
Da chi è composta quest’oligarchia? C’è, ovviamente, l’alta burocrazia dei ministeri, ossia la schiera dei direttori generali, che hanno in mano le leve reali del potere ministeriale. Ma nel corso degli anni nei gangli del potere si è insediata “una pletora formata da consiglieri di Stato, alti funzionari della presidenza del Consiglio, giudici delle varie magistrature (comprese quelle contabili), dirigenti e membri delle sempre più numerose Authority, e altri consimili, i quali, insieme ai suddetti direttori generali e annidati perlopiù nei gabinetti dei ministri, costituiscono ormai una sorta di vero e proprio governo ombra”, dal quale, non di rado, come dimostra anche l’attuale governo, passano al governo vero.
E’ una supercasta invisibile, “che non è passata attraverso nessuna selezione specifica né alcuna speciale scuola di formazione (giacché noi non abbiamo un’istituzione analoga all’Ena francese)” e che deve le posizioni che occupa all’elevato grado di contiguità con il potere politico nelle cui mani è spesso il gioco delle nomine. Ma, grazie alle funzioni che via via si trova a esercitare, la supercasta entra in relazione anche con altri poteri, primo fra tutti quello dei gruppi d’interesse economici, diventando così il tramite di quell’oscuro sistema di potere che governa l’economia italiana e a cui si è dato il nome, fin troppo elegante, di capitalismo relazionale, quando si tratta semplicemente di collusione ai danni di chi non ne fa parte.
Una delle caratteristiche fondamentali e più pericolose della supercasta è la sua inamovibilità e la sua capacità di autoriproduzione nel tempo. “Sempre gli stessi nomi passano vorticosamente da un posto all’altro, da un gabinetto a un ente, da un tribunale a un ministero, da un incarico extragiudiziale a quello successivo, costruendo così reti di relazioni che possono diventare autentiche reti di complicità, sommando spessissimo incarichi che incarnano casi clamorosi di conflitto d’interessi. E che attraverso doppi e tripli stipendi e prebende varie servono a realizzare redditi più che cospicui, a fruire di benefit e di occasioni, ad avere case, privilegi, vacanze, stili di vita da piccoli nababbi”. Non manca anche qui, naturalmente, il nobile istituto dell’ereditarietà, tenuto in piedi dall’altrettanto nobile pratica del nepotismo, dello scambio di favori, il quale fa sì che figli, parenti, amici, possano accedere ai vantaggi innegabili che la supercasta offre. Si potrebbero fare agevolmente decine di nomi, ma è sufficiente una lettura attenta dei quotidiani per essere informati quanto basta. Naturalmente, a tutti costoro l’austerità non si applica, perché, essendo loro a fare le norme, le concepiscono in modo che a loro non si applichino e non tocchino doppi stipendi, pensioni d’oro e altri benefici.
Alla conclusione di Galli della Loggia ci associamo tutti, perché siamo convinti che la presenza della supercasta, oltre a inquinare la vita politica, concorre pesantemente a inquinare la vita sociale perché avvilisce gli sforzi di tutti noi, perpetuando il morbo della raccomandazione fasulla, eleggendo il disprezzo del merito a principio. “Se i politici sono la casta, insomma, l’oligarchia burocratico-funzionariale italiana è molto spesso la super casta. La quale prospera obbedendo scrupolosamente alla prima (tranne il caso eccezionale della Banca d’Italia non si ricorda un alto funzionario che si sia mai opposto ai voleri di un ministro), ma facendo soprattutto gli affari propri. Il governo Monti ha un’agenda fittissima, si sa. Ma se tra le tante cose da fare riuscisse anche a scrivere un rigoroso codice etico per la super casta, sono sicuro che qualche decina di milioni di italiani gliene sarebbe grata”.
La riforma della politica, insomma, non può fare a meno di sciogliere anche il nodo della supercasta, cominciando, magari, con il mandare a casa qualcuno dei suoi esponenti più noti e arroganti.